Avrebbero speso 20.000 euro per chiedere al professor Capotosti, un’ autorità nel campo del diritto costituzionale, un «parere pro veritate» per sottrarsi agli obblighi della legge sulla trasparenza e per la lotta alla corruzione nelle pubbliche amministrazioni. Costoro sono i presidenti degli ordini dei medici, dei farmacisti e dei collegi professionali degli infermieri, cioè i presidenti dei più grandi enti pubblici non economici del paese, e tutti e tre senatori della Repubblica.

Chi ha materialmente commissionato questo parere è stato il Cup (Comitato unitario permanente degli ordini e collegi professionali) di cui i nostri presidenti/senatori sono i più grossi azionisti. I soldi spesi quindi erano quelli dei loro iscritti cioè di coloro che tutti gli anni pagano ad Equitalia le tasse che permettono a questi signori di mantenere i loro imperi corporativi e i loro incarichi multipli. C’è qualcosa di paradossale: si spendono soldi per non essere trasparenti agli occhi di coloro che per legge avrebbero diritto alla trasparenza.
Il ministero della salute con una nota (DGPROF 21/03/2014) ha risposto a questo parere dicendo due cose: appellarsi a «pareri pro veritate» per sottrarsi alla legge sulla trasparenza è una procedura «irrituale», sono pareri che «non occupano nessuna posizione nella fonte del diritto»; il parere tradisce una interpretazione della natura degli ordini e dei collegi nella quale «il carattere associativo sembra prevalere su quello di garante degli interessi dell’utenza», un presupposto in contrasto con i fini di tutela della salute del cittadino per cui il parere «non è condivisibile».
Non essere obbligati alla trasparenza permette ai nostri presidenti di disporre di un potere discrezionale davvero gigantesco e in settori socialmente cruciali come quelli sanitari. Ma non è solo questo, c’è qualcosa di altro. La lettura di un’altra circolare del ministero della salute (DGPROF 17/01/2014) rivolta a collegi e ordini ci da implicitamente la risposta giusta: la legge per la trasparenza (n°190) prevede che siano adottati decreti del governo per «individuare con criteri… gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche». Questo vuol dire che dovrà essere disciplinata l’eventualità del conflitto di interesse. Prendiamo l’esempio della presidente dell’Ipasvi Anna Lisa Silvestro.
Da quel che risulta, attualmente è in aspettativa presso l’azienda sanitaria di Bologna dove lavorava; è presidente di un ente pubblico l’Ipasvi, è senatrice della Repubblica e fa parte di un consiglio di amministrazione di una società che fornisce servizi assicurativi e risulta, al colmo dei colmi, che è relatrice di una proposta di legge, in discussione in questi giorni al Senato, che deve disciplinare il riordino degli ordini e delle professioni. In questo caso c’è o non c’è conflitto di interesse? Se vi fosse conflitto a quali incarichi la senatrice Silvestro dovrebbe rinunciare? È sensato che in pieno conflitto di interesse le si permetta di essere relatrice di una legge nella quale lei e i suoi «colleghi», evitando gli obblighi della trasparenza, potrebbero essere i primi beneficiari? È accettabile che i suoi legittimi obblighi di lealtà verso il suo partito e il suo governo offuschino i suoi doveri verso la professione che rappresenta?
Non sono un giurista e su questo giornale ho invitato la senatrice Silvestro a dimettersi come presidente dell’Ipasvi, ma seguendo un ragionamento politico, cioè basandomi sul fatto che gli effetti collaterali del conflitto di interesse ricadono negativamente tanto sui cittadini che sugli operatori. Per cui troverei ragionevole intanto limitare i danni e ripristinare le giustapposizioni necessarie fra ruoli, funzioni e autonomie. Il senatore Bianco, presidente dell’ordine dei medici, ha appena approvato un codice deontologico che dire funzionale alle logiche regressive dell’economicismo sanitario è dire poco. È lo stesso senatore che difronte ad una «guerra» definita «delle competenze» tra infermieri e medici non ha mosso un dito per poi sottoscrivere con la senatrice Silvestro un disegno di legge per il riordino degli ordini e dei collegi dove l’invarianza più stucchevole è sovrana ma solo al fine di mantenere i propri privilegi. Credo che sia del tutto marginale che i due senatori appartengano allo stesso partito, cioè al Pd.
Ministra Lorenzin, Lei che è autrice di un testo di legge unificato per il riordino delle professioni, se è per la trasparenza, come sino ad ora le sue circolari dimostrano, permetterà ai tre compari di sgattaiolare fuori dalla legge? E sul conflitto di interesse permetterà che esso neghi e contraddica le finalità istituzionali per le quali sono nati ordini e collegi? E poi Ministra la vuole fare davvero una riforma seria degli ordini? Cestini tutto e ricominci daccapo. Ma questa volta si rivolga alle persone giuste, cioè senza conflitti di interesse.