E’ la notte tra lunedì e martedì scorso. Virginia Raggi appare sulla sua bacheca Facebook in primo piano. Scandisce: «Ho comunicato ai miei consiglieri di aver accettato le dimissioni dell’assessore Paola Muraro – spiega Raggi – La stessa mi ha comunicato di aver ricevuto da poco un avviso di garanzia per presunte violazioni del testo unico ambientale». Alle sue spalle quelli che definisce i «suoi» consiglieri con sguardo fisso verso l’obiettivo.
La storia di Muraro nella giunta Raggi è travagliata e incrocia le tensioni della sindaca romana col M5S nazionale. Perché, e questo è il primo punto, di dimissioni si parla almeno da luglio scorso, da quando cioè cominciarono a circolare voci sull’attività di Muraro in qualità di consulente Ama.

L’indagine che la riguarda era stata comunicata a Luigi Di Maio nella famigerata mail che il vicepresidente della Camera aveva detto di «non aver capito». Raggi teneva duro anche di fronte alle richieste di Grillo. «Io un’altra così non la trovo. O mi dite cosa fare o andiamo a casa. Sui rifiuti non so che fare» aveva detto la sindaca parlando con Di Maio al telefono, intercettata per caso da un cronista del Fatto Quotidiano. Così, nonostante il suo ruolo all’interno dell’azienda romana dei rifiuti all’ombra di Mafia Capitale (tirata fuori in un post sibillino dall’arcinemica Roberta Lombardi appena qualche giorno fa) e con l’incombente minaccia estrema di «togliere il bollino» M5S alla giunta, fino a ieri Muraro è rimasta al suo posto. Cioè a gestire un settore, quello dello smaltimento dell’immondizia romana, attorno al quale ruota circa una piccola olimpiade annuale: un miliardo di euro ogni dodici mesi. Le si era addirittura presentata, unica tra gli assessori, alla «marcia per la Costituzione» organizzata dai grillini a Roma lo scorso 26 novembre. Le facce storte vennero messe da parte per motivi di opportunità politica: c’era la battaglia campale del referendum da portare a casa.

Che il curriculum di Muraro non concordasse col programma del M5S era emerso già il pomeriggio del 17 giugno scorso. Raggi aveva la vittoria in tasca ma pochi volti da spendere per la squadra di governo. Così, aveva fatto il nome di Muraro dal palco del comizio finale di Ostia. Ed ecco i primi scheletri nell’armadio, come un testo dell’assessora in pectore: in qualità di presidente dell’associazione di categoria dei gestori ambientali Atia difendeva gli inceneritori. «Per molto meno a noi hanno fatto la guerra», dissero da Parma i sostenitori di Federico Pizzarotti. «Sull’incenerimento ho cambiato idea», rispondeva lei. Appena un mese fa Paul Connett, uno dei massimi esperti al mondo della strategia «Rifiuti zero», scriveva a Beppe Grillo per chiedere conto dell’inversione a U delle amministrazioni di Roma e Torino. «Pensavamo che la nomina del nuovo sindaco sarebbe stata una grande vittoria – dice Connett al garante del M5S – Tuttavia, le cariche istituzionali successivamente nominate sembrano volere reintrodurre la possibilità della combustione dei rifiuti e di nuove discariche.

Ciò rischia di dare una posizione prominente al proprietario della discarica di Malagrotta, il signor Cerroni». Gli affari di Manlio Cerroni, compaiono nell’inchiesta della procura, corroborata anche dall’interrogatorio dell’ex assessore Marcello Minenna, che se n’è andato col dente avvelenato con Raggi. Ipotesi tutte da verificare, che adesso, in una fase di interregno tra la crisi di Renzi e l’avvio di una lunga campagna elettorale, giustificano la rimozione di un rapporto che per i grillini in corsa verso Palazzo Chigi potrebbe rivelarsi imbarazzante.