Dodici episodi, ognuno incentrato su una traccia e sul gruppo che l’ha creata, una sorta di playlist cronologica per raccontare la più importante rivoluzione recente per quanto riguarda la musica francese, ossia l’avvento del french touch. È questo Touche française, documentario musicale creato dal musicista Guillaume Fédou e dal regista Jean-François Tatin, realizzato da Silex Films e dalla tv pubblica Arte France, che l’ha trasmesso qualche settimana fa rendendolo disponibile da subito anche online.

French touch, cioè il movimento musicale più internazionale, una definizione che racchiude gruppi anche molto diversi tra loro ma capaci di far conoscere al mondo la via francese all’elettronica, dalla techno alla house, al garage, alla dance, all’electropop. Dalla metà degli anni ’90 emergono infatti i nomi dei pionieri Motorbass o di Laurent Garnier, fino all’esplosione dei Daft Punk, i veri fuoriclasse del genere, o al successo di progetti originali come Air, Justice e Phoenix.

Una corrente che non nasce dal nulla, ma affonda radici nel funk e nell’hip hop, in una cultura black assimilata dai bianchi parigini e poi totalmente stravolta, con innesti di volta in volta ispirati alla raffinatezza della chanson française, al pop dell’italo disco, ai sintetizzatori di Giorgio Moroder fino al punk e al rock. Il tutto guidato da un innegabile gusto, da un suono ricercato e dall’abilità nell’arte del sampling, fattori che hanno contribuito a mutare la stessa figura del dj, ora percepito per davvero come un musicista.

La musica elettronica comparsa negli anni Novanta è inoltre figlia della cultura rave e dunque di un movimento sotterraneo, anti-istituzionale, forse eccessivo per quanto riguarda lo stretto rapporto con illegalità e droghe, ma anche decisamente egualitario e contrario al divismo. E tutto ciò si riversa in una nuova concezione del clubbing, in serate a entrata gratuita in cui grazie allo spirito di comunità si crea un rapporto di fidelizzazione con il pubblico, che partecipa e diventa il banco di prova ideale per sperimentare la resa dei nuovi pezzi. E Parigi può diventare uno dei punti di riferimento per l’avanguardia musicale mondiale, anche grazie a locali come il Rex o il Queen (in quest’ultimo è ambientato il film Eden di Mia Hansen-Love, storia di finzione sulla carriera di un duo di dj, che restituisce perfettamente l’atmosfera di quegli anni). E il punto chiave forse sta anche nell’immenso seguito in patria, prima del successo commerciale in tutto il mondo.

A proposito del «protezionismo» tipicamente francese, è interessante la storia di Laurent Garnier e del suo brano Flashback. Se per legge le radio nazionali devono trasmettere una quota di canzoni in lingua francese (con percentuali calcolate sul testo), Garnier ha aggirato il problema facendo un pezzo in inglese ma inserendovi uno sketch parlato in cui un individuo riprende il musicista spiegandogli le regole del meccanismo. Il brano grazie alle parti di testo in francese rientra dunque nelle quote, e viene così tanto trasmesso e apprezzato da vincere un premio ai Victoires de la musique, sorta di Grammy di Francia. Capolavoro di irriverenza creativa e presa in giro del sistema discografico istituzionale, nonché azione capace di far arrivare al grande pubblico il mondo della techno, non più confinato a sottocultura pericolosa e deviante.

Proprio la capacità comunicativa spesso geniale e quel sentirsi tutti parte di una grande famiglia, ha portato i gruppi più originali all’esplosione internazionale, nonché all’identificazione di una scena molto differenziata ma coesa con un brand (con tutti i limiti che questo può comportare). E proprio qui sembra chiudersi il ciclo, nel momento in cui french touch diventa solo un’etichetta per vendere qualche disco in più e non più quel mix di energia, passione e sperimentazione che è stato fino a pochi anni fa. Ma in musica è anche vero che tutto si trasforma, e il doc suggerisce che un gruppo come La Femme, giovane ma acclamata band electro-rock, abbia appreso molto dall’elettronica francese, anche e forse soprattutto nell’approccio non provinciale e nella voglia di divertirsi in musica nonostante tutto.