Se uno volesse cercare oggi a Roma uno spettacolo in programmazione da vedere e raccontare sul giornale, si troverebbe davanti a qualche difficoltà. A parte alcuni che sono in precedenza già passati sulle pagine, e benché sia aumentato non di poco il numero delle sale (e lo spazio occupato sulle pagine dei tamburini), la maggior parte degli spettacoli non offre grande attrattiva. Registi sconosciuti, e compagnie altrettanto «nuove». Che denotano la grande, eterna attrattiva del linguaggio teatrale, ma anche una certa fragranza «amatoriale» nella sua realizzazione, senza offesa per nessuno.
E senza nessun preconcetto verso il «nuovo», o tanto meno «contro i giovani», che sempre andrebbero scoperti, incoraggiati e se possibile «lanciati». Ma qui non si parla di nuove generazioni che sperimentano nuovi linguaggi, quanto di un rito sociale compagnone che conta sul gradimento di parenti e amici. A parte ovviamente i nomi tipicamente televisivi, che riempiono le sale con le stesse stanche gag, che peraltro fuori dal video funzionano anche poco.

La conseguenza che ne discende sta nel drammatico restringimento dell’offerta teatrale, come non era difficile prevedere da quando un paio d’anni fa è arrivato il decreto ministeriale, i conseguenti algoritmi e le molto contestate valutazioni qualitative che hanno finito per cambiare il vecchio ordine dei contributi (operazione del resto sana e necessaria), ma complicandone talmente il campo (con regole, cavilli e una quantità infinita di numeri da adempiere e rispettare) da rendere sempre più difficile per le compagnie, i teatri e gli artisti sopravvivere del proprio lavoro e dei sempre modesti contributi pubblici. Proprio questa settimana sono stati resi noti i finanziamenti ministeriali per il 2016, ovvero per l’anno ormai al termine. E a spese già fatte.

Al ministero dicono che il testo del decreto è in via di riscrittura ma intanto, nonostante si sia calmata, per ora, l’onda alta dei ricorsi, i mugugni vanno acquistando fiato. Poche settimane fa a Prato, organizzata dal Metastasio, comune e regione Toscana, si è svolta un’assemblea pubblica sull’avvio in tempi rapidi di un Codice dello spettacolo dal vivo. I due parlamentari del Pd presenti (Rampi e De Giorgi) garantiscono l’arrivo della nuova legge organica di settore per la primavera prossima. Il responsabile massimo del ministero, Ninni Cutaia, meglio di tutti è entrato nel merito: ad esempio sul rigore da applicare alla «tradizione» teatrale. Così come si sono fatti strada negli interventi il paragone impietoso col cinema, che ha un fondo molto generoso nel suo portafogli annuale (e stavolta nessuno si è levato contro le grandi cifre assorbite dalla musica), e la motivazione stessa per cui lo stato provvede a garantire la vita del teatro: il suo essere parte fondante del patrimonio culturale del paese. Che potrebbe avere tra le sue implicazioni immediate, la chiusura dei rubinetti a quello che viene correntemente definito «intrattenimento» teatrale. Che si sa che potrebbe sussistere con i propri incassi, e in una situazione critica come quella attuale sarebbe difficile smentirne la necessità.

Infine, una voce si alza da tutto il teatro, a invocare un maggior controllo da parte del ministero sui consuntivi: ci sono spettacoli che a osservarne bene il biglietto Siae, salta fuori il nome di un altro teatro (nazionale o tric che sia), cui evidentemente cede i propri borderò. Sperando almeno che se li facciano pagare profumatamente. Alla faccia della trasparenza e dell’onestà del nuovo ordine teatrale…