La storia del cristianesimo è costellata di gesti dal carattere profetico, di iniziative individuali e collettive giocate sul piano del simbolico. Il cosiddetto Patto delle catacombe, siglato dai padri conciliari del gruppo della Chiesa dei poveri, è stato soprattutto questo, una celebrazione-manifesto per indirizzare la recezione del Concilio Vaticano II.

Siamo nella cornice dell’assemblea voluta Giovanni XXIII per discutere di una riforma della Chiesa che il pontefice immagina «povera e dei poveri». Da quando l’enciclica Mater et Magistra ha rimesso in discussione la contiguità del magistero al capitalismo occidentale, la dottrina sociale della Chiesa è un cantiere aperto agli influssi dei movimenti pauperistici. La stessa categoria di “dottrina” viene criticata dagli eredi dei preti operai che intendono mettere da parte l’atteggiamento ierocratico e caritatevole tradizionale.

Nella visione di Paul Gauthier, teologo-operaio a Nazareth, e dei padri conciliari del Collegio belga, la strada da seguire è quella di Charles de Foucauld, per il quale bisogna viverle le condizioni dei poveri per poterle confessare.

In Concilio questa visione gode di un consenso trasversale che spazia dai vescovi latinoamericani (Helder Camara, per esempio) a francesi (Ancel) agli africani (Mercier) ai belgi appunto (Himmer). Sotto la regia di Gauthier il gruppo svolge un’azione di condizionamento sull’assemblea, che passa anche per il coinvolgimento della grande stampa mondiale.

[do action=”citazione”]Tuttavia, negli schemi in discussione, il tema della povertà fatica a trovare spazio.[/do]

Dello stile di vita dell’alto clero non si vuole parlare, e le aperture del gruppo per una nuova pastorale nei confronti del comunismo sono considerate intollerabili dalla minoranza conservatrice.

Quando il 6 dicembre 1962 il card. Lercaro, arcivescovo di Bologna, pronuncia in aula un discorso appassionato che diventerà la magna charta del gruppo, i tempi sembrano maturi per dare una sterzata all’assemblea.

Circa sei mesi dopo papa Giovanni muore e il neo-eletto Paolo VI si assume l’incarico di portare a termine i lavori, ma ridimensionando le contrapposizioni che ne hanno contraddistinto lo svolgimento. A Lercaro, che svolge un ruolo di mediazione con i vertici romani, viene affidato il compito di inserire le proposte del gruppo nello schema sulla riforma della Chiesa.

Nelle emendationes del ’64, l’arcivescovo e il suo perito Dossetti riescono a far passare una serie di affermazioni importanti in materia di povertà della Chiesa e di impegno contro le diseguaglianze economiche e sociali.

In novembre, forse proprio in reazione a una proposta del Collegio belga, durante la messa papa Montini depone la tiara e la dona ai poveri. Sulla stampa mondiale il gesto ha un’eco enorme. Eppure, i padri sanno bene che la spettacolarizzazione del nodo povertà sancisce anche la chiusura sul piano delle decisioni assembleari.

[do action=”citazione”]Sui contenuti principali avanzati da Gauthier i documenti approvati rimangono generici, esortativi, ottativi.[/do]

Anche se il Concilio riabilita l’esperienza dei preti operai, le costituzioni non introducono novità sostanziali sulla gestione finanziaria delle diocesi, sulla limitazione dei poteri economici del clero e sulle opere di beneficenza.

Gli esponenti della Chiesa dei poveri optano allora per un’iniziativa dal carattere simbolico in vista del post-concilio. Su invito di mons. Himmer in una quarantina celebrano la messa nelle catacombe di santa Domitilla per chiedere, in comunione con la Chiesa dei martiri e degli apostoli, la grazia di rimanere fedeli al Vangelo dei poveri. Successivamente il libanese Haddad redige e invia a tutti i vescovi il testo di cui vi proponiamo qui ampi stralci.

Viene battezzato da Camara lo “schema 14”, come se fosse un documento aggiunto al corpus ufficiale.

La fortuna di questo appello nei milieux della teologia della liberazione fornirà una conferma del successo del gruppo a livello di egemonia culturale.

Nonostante le recenti vicende siano l’ennesima prova di una Santa sede che non ha perduto la passione per il potere, la “profezia” della Chiesa dei poveri ha mantenuto viva una speranza che in molti oggi affidano all’attuale pontefice, figlio (a suo modo) di questa storia conciliare.