Mai come oggi la stampa e l’opinione pubblica italiane sono chiamate ad affrontare la galassia musulmana, le sue divisioni interne, le diverse anime religiose ed etniche. Una realtà complessa che spesso viene gestita con superficialità, proponendo visioni appiattite su stereotipi fallaci.

Ammettiamolo: di Islam sappiamo poco. Sappiamo poco degli sviluppi politici e culturali di una buona fetta di pianeta, oltre un milione e mezzo di persone, 360 milioni solo in Medio Oriente. Proviamo a muovere un passo alla volta, restringendo l’analisi all’Islam nel mondo arabo. E approfondiamolo. Un aiuto fondamentale lo offre Storia ed evoluzione dell’islamismo arabo (Mondadori, pp. 368, euro 26), un progetto universitario di ricerca curato da Laura Guazzone e che propone studi interdisciplinari del cosiddetto Islam politico.

Muoversi tra i dieci capitoli della ricerca, pubblicata a quattro anni dal fenomeno ribattezzato come «primavere arabe», è un tuffo nelle trasformazioni delle società e delle ideologie che hanno caratterizzato il Medio Oriente e il Nord Africa, dalle sue origini fino ad oggi. Dalle pagine emergono termini ormai noti, un lessico che pensiamo di padroneggiare ma di cui in realtà non ne conosciamo origini e sfaccettature: shari’a, hijab, salafismo, Fratellanza Musulmana, umma, jihad, takfir. Qual è il loro significato? Quale la loro interpretazione nei diversi paesi a maggioranza musulmana e quale la loro applicazione da parte di movimenti politici e religiosi diversi?

Lo studio offre una visione completa della questione, affrontata elaborando il concetto di «islamismo», o Islam politico, dal punto di vista storico, sociale, economico. Un approccio valido perché permette di comprendere, esempi alla mano, come tale ideologia contemporanea si sia modellata nelle società di riferimento, con sviluppi spesso diversi tra loro e conseguenze socio-politiche addirittura contrastanti. Basta guardare a due dei paesi protagonisti delle rivoluzioni del 2011, Egitto e Tunisia, e gli opposti risultati archiviati da partiti entrambi freristi, il Partito Giustizia e Libertà dei Fratelli Musulmani nel primo, Ennahda nel secondo.

Districarsi nel mondo complesso dell’islamismo non è processo semplice, tante sono le definizioni come tante sono le storture e le erronee etichette figlie della propaganda sia occidentale che interna. Un punto di partenza, però, esiste e il progetto di Guazzone lo individua nei due filoni che l’Islam politico e i suoi ideologi hanno prodotto nel corso degli ultimi due secoli: Islam come strumento di trasformazione della società, visione nel quale il movimento ha finalità missionarie e di predicazione; o Islam volto all’attività politica, dove la priorità diventa la partecipazione politica e la formulazione di un’alternativa ai regimi nazionalisti.

All’interno di tale differenziazione è possibile inserire le diverse ideologie religioso-politiche nate nel secolo scorso e la loro capacità di influenzare (ed essere influenzate) dalle società di appartenenza, scosse da trasformazioni epocali e spesso traumatiche: dalla colonizzazione europea al processo di decolonizzazione, dalla nascita degli Stati nazione e di regimi nazionalisti alla minaccia del terrorismo di matrice islamista.

Come l’Islam politico ha affrontato e affronta la modernità, le caratteristiche della contemporaneità e della globalizzazione delle idee e dei comportamenti? Merito della ricerca è incentrare la prima parte del progetto sull’analisi di alcuni elementi utili a descrivere la natura dei movimenti islamisti arabi, che siano sistemici o anti-sistemici: la compatibilità tra Islam politico e democrazia liberale; l’interpretazione della shari’a e il suo ruolo all’interno della legislazione statale; la questione della giustizia sociale; il ruolo delle donne nella società desiderata. I risultati sono tanti, quanti sono i paesi oggetto di studio perché non esiste una sola democrazia come non esiste un solo Islam. La tendenza è individuata proprio nel rapporto tra movimenti islamisti e società: l’approccio islamista tende ad essere più liberale nei paesi meno conservatori, come la Tunisia, finendo per presentarsi come prodotto stesso del percorso socio-economico affrontato dai popoli.

Non mancano elementi comuni tra i diversi islamismi arabi. Molti hanno sviluppato le proprie caratteristiche attuali a fronte di stress strutturali, fratture storiche come il movimento colonizzatore di inizio ’900 e la rivoluzione iraniana di fine anni ’70. Nel primo caso lo sviluppo di un’ideologia islamista è reazione naturale alla colonizzazione occidentale, nel secondo all’imperialismo statunitense. Si reagisce ad una penetrazione esterna con un nuovo modello politico-culturale che fonda le sue basi sull’identità islamica, negata da quegli attori esterni.

Non è un caso che l’islamismo trovi consenso e possibilità di ampliamento in società che, più o meno lentamente, riprendono in mano strumenti di «caratterizzazione» musulmana, dal ritorno del velo alla preghiera in moschea. Un percorso, quello della re-islamizzazione, affrontato da molti dei paesi che la ricerca mette sotto i riflettori. E che spiega bene sia la maggiore fortuna ottenuta da movimenti salafiti e radicali, sia lo sviluppo di movimenti islamisti liberali che vedono nel processo democratico e nel rapporto con sindacati e movimenti sociali lo strumento di trasformazione della società di appartenenza. Ovvero, l’ingresso nel processo istituzionale – tipico di uno dei più importanti gruppi islamisti, i Fratelli Musulmani – per modificare il sistema dall’interno, senza il ricorso alla violenza o alla lotta armata.
Centrale nella ricerca è quindi l’enfasi posta sull’approccio storico: la Storia come strumento di analisi e comprensione ideologica, accanto al concetto marxista di classe sociale. La natura economica e sociale, le differenze tra classi, il gap tra centro e periferia emergono prepotentemente come fattori di adesione, di ampliamento o di restrizione del consenso delle ideologie islamiste, della loro fortuna o del loro declino.