Rottura netta tra le reazioni critiche e quelle del pubblico sta diventando un po’ la regola per la nuova vena di supereroi sfornati dalla collaborazione tra Warner Brothers e Dc Comics.
Mentre il frutto dello strano matrimonio tra Disney e Marvel continua a prosperare con il relativo benestare della critica, dopo la love story con i reboot di Batman diretti da Christopher Nolan, le nuove incarnazioni degli eroi della Dc sembrano essere diventati, a sentire le recensioni, il simbolo di tutto quello che c’è di sbagliato in un grosso cinema d’azione hollywoodiano cinico e ormai sfibrato dal riciclaggio. O, come ha scritto il critico del New York Times A.O. Scott «dell’idiozia del sistema» (in contrapposizione al «genio del sistema» lodato da André Bazin).

Come era successo la primavera scorsa per Batman vs Superman, l’uscita americana di Suicide Squad è infatti stata preceduta da un’unanimità di pollici rivolti verso il basso, ma accolta con entusiasmo dagli spettatori, al punto che il nuovo lavoro di David Ayer – che è poi un libero adattamento di Quella sporca dozzina di Aldrich – ha registrato gli incassi più alti della storia per le uscite nel mese di agosto, superando il record di Guardians of the Galaxy, un film il cui animo anarcoide e irriverente Suicide Squad cerca apertamente di emulare. Purtroppo senza riuscirci; ma anche senza meritare le recensioni devastanti che ha subito.

In parte dovuto al una campagna promozionale che è molto più brillante e innovativa dello stesso film (manifesti che sembrano graffiti affissi a tappeto, clip costruite sui singoli personaggi, un trailer affilato sulle note irresistibili di Bohemian Rapsody), in parte al cast «alto» e alla colonna sonora di greatest hits (oltre ai Queens, i Rolling Stones, Animals, Creedence), il successo di Suicide Squad va probabilmente anche attribuito allo spirito del tempo: nell’anno delle candidature antiestablishment di Trump e Sanders, in cui il nome di un candidato alla presidenza viene salutato dalle grida di «in prigione» o, come negli ultimi giorni, «uccidetela», e in cui si parla di muri per chiudere le frontiere, un manipolo di pendagli da forca sembra più adatto a difendere il pianeta di un classico eroe tutto di un pezzo.
Come ci ha raccontato il film di Zack Snyder qualche mese fa, quell’eroe – Superman- è morto. In sua assenza, il modo migliore per far fronte alla minacce del nostro tempo – sostiene Viola Davies nei panni di un alto ufficiale dell’intelligence – è reclutare dai sotterranei di un carcere di massima sicurezza un mix di assassini e psicopatici, offrendo loro non una fedina penale nuova di zecca ma l’opportunità di redimersi morendo sul campo.              

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Annunciato dalle note di House of the Rising Sun su un movimento di macchina dentro al penitenziario, Will Smith è Deadshot, un killer infallibile, Jay Hernandez è Diablo, un lanciafiamme umano, Adewale Akinnouye un uomo coccodrillo, Killer Croc, Jai Courtney è Boomerang e Margot Robbie – tra cheerleader e stripper- Harley Quinn, la fidanzata di Joker (Jared Leto, nell’incarnazione più Actors Studio del giullare depravato mai vista finora), e un boia con la mazza da baseball.
Considerando che Ayer dedica interminabili, e quasi del tutto inutili, sequenze di battaglia tra la «squadra suicida» e dei Metaumani con teste che sembrano blocchi di lava, la parte migliore del film è all’inizio, quando si presentano i personaggi. Ma se il loro cinico, scanzonato, antiautoritarismo e la loro anima antieroica ricordano quella dei guardiani della galassia, la sceneggiatura dello stesso Ayer dà loro pochissime opportunità di svilupparsi nel corso del film, e agli attori di giocare di humor e tra di loro. Il che è un peccato perché sarebbero in grado di farlo bene.

Autore interessante quando si confronta con un progetto piccolo e originale come il poliziesco End of Watch, alle prese con un budget di 175 milioni di dollari Ayer è un regista privo di immaginazione. E, se qui è meno statico di quanto lo fosse nel soporifero film di guerra Fury, la sua azione non ha coreografia o coerenza interna. E non sembra nemmeno molto interessato a lavorare su linguaggio del fumetto. Per portare al cinema i supereoi bisogna capirli e amarli almeno un po’, come ci ricorda per esempio Joss Whedon. E, se Christopher Nolan aveva (malamente) celato la sua accondiscendenza nei confronti del loro mondo dietro alla pretenziosità dei suoi film, il suo discendente diretto Zack Snyder (regista di Batman vs Superman e qui produttore/autore) non ha nemmeno quell’ispirazione. Come Batman vs Superman, anche Suicide Squad sembra girato nel catrame, ma il suo «nero» non assume mai la dimensione esistenziale tragica che Tim Burton aveva dato ai suoi film sull’uomo pippistrello. È un’immagine confusa e basta.