Quel comma salvaguai… «Nove delle 44 concessioni, oggetto del prossimo referendum, erano già scadute a fine 2015, alcune anche da vari mesi, altre da anni (una addirittura dal 2009). Ciononostante le compagnie petrolifere hanno continuato ad operare. Queste piattaforme sono nel mare di quattro regioni dell’Adriatico: Abruzzo, Marche, Veneto ed Emilia Romagna. L’ultima Legge di stabilità (nell’articolo 1, comma 239, che consente di protrarre la durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa ‘per la durata di vita utile del giacimento’, ndr) ha sanato queste irregolarità come si evince dal Bollettino degli idrocarburi del ministero dello Sviluppo economico della ministra Guidi, in data 31 dicembre 2015. Si è cioè sanato a posteriori l’illegalità, attraverso la modifica della disciplina della normativa sulla durata delle concessioni e legando questa alla vita utile del giacimento, con effetto retroattivo: un bel dono alle compagnie petrolifere! Ciò, ora, è oggetto del referendum del 17 aprile». Attacca così l’interrogazione a risposta scritta inoltrata al presidente del Consiglio dei ministri da Sel -Sinistra italiana.

A firmare l’atto il deputato Gianni Melilla. Alla vigilia del referendum antipetrolio salta fuori l’ennesimo scandalo legato alle trivelle. Ventiquattro piattaforme marine – tutte produttive – legate alle 44 concessioni che sono oggetto della prossima consultazione popolare hanno continuato a lavorare, anche per anni, senza avere la proroga necessaria. Con le autorizzazioni scadute. Altre 9 piattaforme, su 4 concessioni non produttive, sono rimaste in acqua senza titolo per farlo. Le aziende avevano fatto richiesta di proroga nei tempi stabiliti, ma il ministero dello Sviluppo economico non ha risposto. Le compagnie estrattive, a questo punto, avrebbero dovuto bloccarsi e aspettare le decisioni del Mise. Ma hanno proseguito con le estrazioni. E alla fine del 2015 è arrivata, magica, la Legge di stabilità che – sembrò strano e inspiegabile – ha legato le concessioni alla «durata di vita utile del giacimento». Le ha in sostanza prorogate ad oltranza. Senza limiti. Un regalo alle multinazionali, e future scartoffie, e inadempienze, in meno per il Mise. «Fondato il sospetto – dice Melilla – che si sia voluto scongiurare l’ipotesi di un imminente smantellamento delle piattaforme, a costi elevati per le società». Eni in pole position, ma anche Edison. «Il fatto che sia arrivata la benevola sanatoria dal 1 gennaio 2016, con effetto retroattivo, rende ancora più evidente la opacità del comportamento del Mise e dei suoi uffici preposti all’esame delle autorizzazioni e delle proroghe alle compagnie petrolifere».

Al premier si chiede «quali iniziative intenda assumere per accertare la gravità dei fatti sopra denunciati e di rimuovere i responsabili di questo comportamento al fine di fare chiarezza e affermare l’interesse generale al risanamento ambientale e alla libera concorrenza del mercato». «Il governo deve rispondere al Paese per quanto è accaduto. Davanti a un fatto di tale gravità è doverosa la rimozione del responsabile della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, Franco Terlizzese», tuona Enrico Gagliano, del Coordinamento nazionale dei No Triv. Quel comma nelle Legge di stabilità? «Spuntato dal nulla, di cui nessuno ha voluto parlare. Serviva forse a rimettere in carreggiata le concessioni, quasi tutte targate Eni? E’ proprio su questo – evidenzia – che gli italiani sono chiamati a votare il 17 aprile. Sono chiamati a ristabilire una data di scadenza certa per la fine della concessione, come previsto anche dall’Unione Europea». Ma se non fosse raggiunto il quorum? «Sarebbe un omaggio alle società del greggio e del gas».

Norma sotto accusa, dunque. Della cui «sospetta illegittimità, poiché una durata a tempo indeterminato delle concessioni violerebbe le regole del diritto Ue sulla libera concorrenza», parla anche l’eurodeputata Barbara Spinelli (Gue/ngl) che, con un’interrogazione, fa giungere la questione trivelle – con annesso referendum – sui tavoli della Commissione europea. «Nonostante la Convenzione di Aarhus sia stata ratificata dall’Ue nel febbraio 2005 e recepita dall’Italia con decreto legislativo dell’agosto dello stesso anno – scrive – l’Italia non ha rispettato i propri obblighi, sanciti dalla stessa Convenzione, di consentire la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale». L’europarlamentare quindi chiede se, esaminati gli atti, «… si intenda promuovere una procedura di infrazione contro l’Italia e se, in ogni caso, si voglia esortare il governo italiano a modificare tale comma».