A marzo erano ad Adelaide, Australia. Da lì hanno continuato a seguire la rotta musicale di un tour che, oltre ad Australia e Nuova Zelanda, li porterà in Belgio, Francia, Svizzera, Germania. Terre di migranti del passato, migliaia di italiani tra loro; terre di migranti del presente, facce e storie diverse accomunate dalla necessità disperata di un futuro. Quando, dal palco di un teatro o di un festival, i sette del Canzoniere Grecanico Salentino faranno scendere in platea Solo andata, è facile immaginare sugli occhi dei migranti del passato e del presente ombre impossibili da cancellare. Il testo porta la firma di Erri De Luca «Da qualunque distanza arriveremo, a milioni di passi/ Noi siamo i piedi e vi reggiamo il peso/ Spaliamo neve, pettiniamo prati/ battiamo i tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto/ Noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo/ noi siamo il rosso e il nero della terra/.» Di De Luca sono anche le righe dell’introduzione all’album Quaranta, appena uscita (Ponderosa Music & Art), che il Canzoniere ha realizzato per i suoi quattro decenni di attività: dodici brani a spartirsi la scena, alternando piccoli inni all’amore come Respiri, alla ritrita iconografia del Bel Paese con I love Italia; i versi ‘indiavolati’ di Taranta a quelli in griko (antica lingua di Puglia, Basilicata e Calabria, parlata ormai da pochissimi) di Pu e to rodo t’orio, Dove la rosa è bella.

Si narra, poi, in No Tap, di contadini un tempo piegati a lavorare i campi e che oggi si vorrebbero proni davanti a una condotta del gas «Vi porto il lavoro/ Vi porto il futuro/Un futuro sicuro/ Se tu ti pieghi, se tu ti chini/ vedrai che sviluppo/ Lo sviluppo del mio gaz/». Ziccate, Tieniti, ricorda un padre che dalla faticosa semina della campagna ricavava di che vivere. Allineato alla modernità dei tempi, il figlio si vanta «Io invece alla campagna di mio padre/ ho piantato il fotovoltaico/ Non zappo, non lavoro e guadagno soldi/ E se squaglio la terra me ne fotto/».

Va detto: tradurre, qui, i testi, non rende giustizia alle sfumature e ai colori di quelli originali. I quattro concerti italiani hanno offerto al pubblico un gruppo che, pur continuando la strada aperta nel 1975 dal fondatore Daniele Durante, ha impresso, con il figlio Mauro, dal 2007, una svolta in cui i riferimenti all’attualità trovano spazio più ampio. Cambiare non significa stravolgere. Il corpo e l’anima del Canzoniere continuano ad affidarsi alla voce, alle percussioni e al violino di Mauro Durante; all’organetto e altre tastiere di Massimiliano Morabito, alla voce spettacolare di Maria Mazzotta, alla chitarra e al bozouki di Emanuele Licci, ai tamburelli e all’inimitabile timbro vocale cartavetrato di Giancarlo Paglialunga.

Cui si uniscono, con armonia di intenti artistici e complicità, la zampogna, i fiati popolari, i flauti, l’armonica del giovane talento Giulio Bianco; le movenze coreografiche, mai specchietto per le allodole, di Silvia Perrone. L’importanza dell’album emerge anche dal nome di chi lo ha prodotto, Ian Brennan, vincitore nel 2012 di un Grammy per Tassili dei Tinariwen, e di chi ha collaborato: oltre a Erri de Luca, Fanfara Tirana, Ludovico Einaudi, il bassista Valerio Combass, il cantautore francese Piers Faccini.

Il linguaggio della musica è un esperanto che, nel concerto al Folk Club di Torino, una delle date italiane del tour sostenuto dal gruppo, univa i presenti. Tutta la gente parlava: ballando e unendosi senza paura di stonare al Rirollalla lanciato da Paglialunga. Quarant’anni di Canzoniere non sono passati invano. Anzi. Si sente, si vive, si vede.