Il «Question time» (in italiano «interrogazioni a risposta immediata») non l’hanno inventato alla Leopolda. Nella Camelot del ciclo renziano hanno solo copiato il format. Secondo il regolamento della camera, il presidente del Consiglio deve intervenire in aula per rispondere alle interrogazioni dei deputati due volte al mese, eventualmente sostituito dal vice presidente. Matteo Renzi non ha un vice presidente. In due anni e due mesi a palazzo Chigi si è prestato al Question time tre volte soltanto: l’ultima ieri, la precedente otto mesi fa. Preferisce il «Matteo risponde» in diretta streaming, l’ha fatto anche ieri come la settimana scorsa.
È meglio così. Un gesto di rispetto delle prerogative del parlamento – l’esecutivo che si sottopone agli atti di sindacato ispettivo dei deputati – si è trasformato nel suo contrario. Renzi non ha risposto quasi a niente e quasi mai. In molti casi non avrebbe potuto neanche volendo, perché non gli sono state rivolte domande ma eccezionali assist a maggior gloria. Non usa applaudire un ministro o un sottosegretario quando replica alle richieste di un parlamentare, nel caso di Renzi si è fatta un’eccezione. Anzi tante eccezioni, una per ogni conclusione di intervento del presidente del Consiglio: «Applausi dei deputati del gruppo Pd» testimonia ripetitivo il resoconto della seduta. Applausi talvolta anche durante l’intervento, a scena aperta. Soprattutto quando si è messo a litigare con le opposizioni.

Un deputato di Bra (Scelta civica, maggioranza) gli ha chiesto quando sarà completata l’autostrada Asti-Cuneo. Renzi ha detto che non lo sa, ma che «nelle prossime settimane» qualcuno del governo andrà in Piemonte. Poi si è messo a parlare della «bellezza e grandezza di essere italiani», dell’autostrada del Sole (inaugurata cinquant’anni fa), della Salerno-Regio Calabria (un po’ fuori mano rispetto a Cuneo), del Quadrilatero (non quello del Risorgimento) e delle strade locali siciliane. Prendendo la parola dopo gli applausi del Pd, il deputato di Bra si è detto soddisfatto. Ha ringraziato il presidente «delle sue rassicurazioni» e anche «delle ottime intenzioni». E via così. Un altro deputato centrista ha «condiviso totalmente» la risposta di Renzi sulla crisi del Brennero, ma già prima Renzi aveva «condiviso totalmente» la domanda del deputato centrista. L’alfaniano ed ex ministro Lupi ha chiesto di fare di più per la famiglia – non la sua, quella del figlio con il Rolex – e Renzi ha detto che certo si farà di più per la famiglia, anche grazie a Lupi «che è stato l’ispiratore». Roba concreta. «Altro che dibattiti sterili su Facebook e tweet», ha detto Renzi.
Poi ha litigato con i leghisti che urlavano urlandogli più forte. Ha detto che il suo è il governo che ha «combattuto di più il precariato» ma non abolirà i voucher lavoro. Ha detto che «il Jobs act ha fatto svoltare». E ogni volta il Pd ad applaudire. A un certo punto la presidente della camera gli ha dovuto chiedere di restare sul tema, perché si era messo a sfottere il deputato grillino di due interventi prima, gli era salita tardi la battuta. Poi anche il Pd ha fatto una domanda. «Signor presidente del Consiglio, come lei sa bene viste le misure positive che in questi due anni sono state poste in essere dal suo governo…». Si parlava di cultura. E Renzi: «Posso essere esplicito? Quello che abbiamo fatto il 1° maggio non ha molti eguali nel passato». Applausi.