La mezzaluna d’oro dei minareti nei bezirk, i quartieri, e il buco nero della stella di sangue alla vigilia di Natale. A Berlino, l’attacco terroristico di Anis Amri che ha scagliato un tir nel cuore del mercatino Charlottenburg, restituisce le contraddizioni della Germania, capitale d’Europa con radici non solo cristiane.

Ma i riflettori restano puntati su Ismet D, «emiro» presidente dell’associazione culturale Fusillett 33 con sede a Perleberger Straße nel quartiere di Moabit. È a soli 600 metri dal porto fluviale dove il terrorista del Califfato ha girato il video con il suo giuramento di combattente votato al martirio. La moschea di Moabit compare nel rapporto annuale dell’Ufficio della protezione della Costituzione di Berlino: dopo la strage del 19 dicembre, il Senato sta prendendo in considerazione l’ipotesi di chiuderla.

In questi giorni si approfondiscono il ruolo dell’emiro e il flusso di denaro. A Moabit sarebbero stati arruolati foreign fighters turchi e caucasici, ma c’è più di un sospetto sul sostegno offerto a Amri. Del resto, la moschea era già stata perquisita a gennaio 2015 dalla polizia di Berlino. Un anno dopo, il tribunale aveva aperto un fascicolo d’indagine sul gruppo jihadista siriano «Junud-al-Sham» che negli anni scorsi avrebbe incassato «donazioni».

Così la città-land si scopre come tutte le altre metropoli europee, in cui salafiti o devoti del nuovo Califfo sono incistati più nel dark web che nei luoghi di culto. Berlino in un venerdì d’inverno oscilla sempre nell’integrazione tra modello islamico e sistema tedesco. Fedeli di Allah e figli della riunificazione: la cogestione del conciliabile nella capitale alle prese con lo stesso sangue di Londra, Madrid, Parigi, Bruxelles, Nizza.

Dai finti minareti nei centri culturali ai veri magazzini di vestiti per i profughi, dalle preghiere dei mullah «di quartiere» al consiglio di andare a votare «qualunque partito tedesco», fino al welfare islamico che soccorre poveri, terremotati e vittime degli uragani. È l’islam-deutsch nel cuore di Merkeland. Un’istantanea scattata senza preavviso, provando a mettere a fuoco l’altra faccia di Berlino rispetto ai titoli dei giornali, ai rapporti di polizia o alla propaganda spudorata di Alternative für Deutschland.

A Berlino, le religioni (almeno nel censimento che, per legge, fa scattare la tassa sulla fede) non fanno proseliti: il 60% dei residenti si dichiara ateo, agnostico, estraneo non solo al monoteismo. I cristiani sono poco più di un terzo della popolazione: le chiese, comprese quelle protestanti, si svuotano e diventano residence o centri culturali.

Le comunità musulmane rappresentavano il 6% dei credenti, quasi tutti sunniti e per lo più turchi. Ma negli ultimi anni l’islam è cresciuto non solo grazie all’arrivo di rifugiati, profughi, migranti del Medio Oriente. Così il lato B di Berlino schikimiki e party-free si manifesta soprattutto intorno alle moschee, come per altro in metropolitana con ragazze e donne che scelgono veli tutt’altro che fuorilegge.

Tra la piscina pubblica di Kreuzberg e la biblioteca americana, al piano terra della palazzina ottocentesca affacciata su Gitschiner Strasse, è operativa la base di Islamic Relief Deutschland, una delle sei succursali tedesche dell’agenzia di soccorso islamica. Oltre la vetrata, un’operatrice coordina e distribuisce le offerte raccolte dall’organizzazione presente in Germania fin dal 1996. Offre la possibilità di finanziare il pacchetto viveri con 45 euro oppure regalare giocattoli ai bambini donandone 22. Con la Zakat ul Fitr, la carità islamica (8 euro), si può pagare il pasto a un indigente. In parallelo funziona il magazzino con i vestiti usati per adulti e bambini: d’ora in poi non si potranno più distribuire personalmente ma solo attraverso il Lageso (l’ufficio sociale del Land) avverte il cartello affisso all’ingresso.

L’integrazione di Islamic Relief passa anche dal sostegno alla Klima-Allianz (l’Alleanza per il Clima) e al programma echo della Commissione europea insieme alla Federazione delle ong umanitarie tedesche. «Aiutiamo chiunque abbia bisogno. Le relazioni con Berlino sono ottime» riassume la volontaria dietro al bancone, impegnata nella cooperazione tedesca come in Siria, Palestina, Somalia e Bangladesh.

Flughafen Strasse, 43, trecento metri dal municipio di Neukölln. Dal 2010 è l’indirizzo della moschea del rione più «turco» di Berlino. Una costruzione bassa in mattoni che include il centro culturale e un piccolo giardino. Il venerdì, fuori dal cortile, due donne raccolgono soldi per i profughi siriani mentre dentro le mura i venditori sistemano i vasi con le trecce di formaggio. Sulla scalinata della moschea Dar As Salam (Casa della pace) l’addetto con la pettorina fluorescente incanala i fedeli avviati alla preghiera. La porta della sala resta aperta per tutta la durata della funzione seguita, in media, da 1.300 fedeli.

La bacheca appesa al muro squaderna la gestione del «Centro di incontro di Neukölln»: fondato come «ponte per i migranti», ha giurato fedeltà a «democrazia e stato di diritto, lotta contro razzismo e discriminazione, uguaglianza tra uomo e donna e incontro tra religioni» insieme all’impegno a contrastare il matrimonio con minorenni. Quanto basta a rispettare il patto sociale stretto con le autorità tedesche. Più o meno.

In realtà, i rapporti istituzionali della moschea luccicano ma fino a un certo punto. Quest’estate la sindaca di Neukölln, Franziska Giffey (Spd), ha visitato la sala di preghiera islamica, innescando le proteste che hanno travolto il suo profilo social. Soprattutto l’iniziativa della bürgermeisterin non è piaciuta ai funzionari del controspionaggio, che hanno inserito l’imam del centro islamico Mohamed Taha Sabri nella lista dei possibili «prestanome» connessi con i Fratelli musulmani in Egitto.

Due chilometri più a nord, la moschea «piccola» di Kreuzberg a Kottbusser Tor è inaccessibile per chiunque: unicamente a causa dei lavori di ristrutturazione iniziati un anno fa.

Quella grande, vicino a Göriltzer Park, invece, svetta oltre la rotaia sopraelevata della linea 1 della metropolitana. I camini-minareti con la mezzaluna dorata sono orientati nella direzione stabilita. La maxi-facciata a specchi riflette il cielo ceruleo quanto i palazzi. A destra e sinistra della sala di preghiera spiccano il caffè-pasticceria e il «Maschari-imbiss» che vende halloumi e falafel a 2 euro.

È il simbolo più visibile dell’influenza islamica attenta alla liturgia quanto alle regole del bazar. Inaspettatamente pronta a fungere da muezzin, perfino alle elezioni per il Parlamento regionale del 13 settembre scorso. Allora, l’appello dei religiosi ricordò il dovere costituzionale del voto. L’importanza di essere cittadini di Berlino, oltre che musulmani.