Il destino tragico dello Yemen, nascosto dalla guerra siriana e dai veli sauditi, ci pensa l’Onu: il numero di rifugiati fuori dal paese ha superato le 114mila unità e potrebbe arrivare a oltre 200mila il prossimo anno, fa sapere l’Unhcr. Fuggono in Gibuti, Etiopia, Somalia, Sudan. A questi si aggiunge il milione di sfollati interni (civili costretti a cercare rifugio nelle grotte e nelle zone meno abitate per scampare alla violenza aerea saudita).

Ma a ricordarci lo Yemen ci pensa anche l’Isis: ieri lo Stato Islamico ha rivendicato una serie di attacchi nella città meridionale di Aden. Colpito l’hotel che ospita il governo ufficiale yemenita, che dell’albergo Qasr ha fatto il proprio quartier generale provvisorio: due missili hanno centrato l’edficio, costringendo alla fuga il premier Baha. L’intero staff è stato evacuato, nessuna vittima.
Altri due kamikaze dell’Isis si sono fatti esplodere contro le truppe inviate dai paesi del Golfo nel paese. Sarebbero almeno 15 i soldati uccisi, tutti emiratini. Diversa la versione saudita: 4 morti, tre militari degli Emirati arabi e un saudita.

All’instabilità provocata dai gruppi estremisti di Isis e al Qaeda si aggiungono i raid aerei della coalizione guidata dall’Arabia saudita, mai cessati, che continuano ad avere come target zone densamente popolare. Una serie di massacri di massa ha colpito un paese allo stremo. Tanto da costringere anche gli Usa a prendere le distanze: la Casa Bianca pochi giorni fa ha detto di non rivestire «alcun ruolo nelle decisioni prese dalla coalizione in Yemen». In realtà, gli Stati uniti forniscono assistenza di intelligence e logistica a Riyadh e hanno venduto 90 milirdi di dollari in armi ai sauditi tra il 2010 e il 2014. Armi che oggi vengono usate per distruggere lo Yemen.