Stavolta il gran rifiuto non c’è stato. A differenza di quanto successo sei mesi fa, Mariano Rajoy non ha detto di no a Filippo di Borbone che, come previsto, gli ha proposto di formare il governo. In un certo senso tutti gli osservatori si aspettavano che l’offerta, in quanto leader del partito di maggioranza relativa, sarebbe stata fatta a lui.

Ma don Mariano in queste settimane non è riuscito a cambiare una sola virgola nel panorama politico, per il momento può solo contare sui suoi 137 seggi. Certo, 14 più che quelli ottenuti a dicembre, ma pur sempre molto lontani dalla maggioranza in una camera di 350 seggi. Per questo molti pensavano che avrebbe nicchiato di nuovo. Ma la differenza è che stavolta Pedro Sánchez ha deciso di parcheggiare il partito socialista all’opposizione e, nonostante le pressioni di Unidos Podemos e di 450 personalità del mondo della cultura e della politica, i socialisti hanno detto in tutte le salse che stavolta tocca a Rajoy.

Per il partito della rosa nel pugno in questo momento di profonda crisi identitaria rischiare di logorarsi in un negoziato con le richieste dei nazionalisti – che oggi non sarebbero solo economiche, ma passerebbero per qualche forma di riconoscimento politico dei movimenti indipendentisti – e con quelle di Unidos Podemos, che mettono in discussione molti aspetti economici del programma socialista, rischierebbe di essere fatale. La situazione di stallo si può descrivere così. I socialisti, a parole, sembrano fermissimi nel loro no a un governo di Rajoy. Cosa teoricamente logica, ma politicamente rischiosa, dato che se Rajoy – che ora formalmente ha l’incarico di provarci – decidesse di sottomettersi all’investitura e non ricevesse i voti necessari a dare il via alla legislatura, il no socialista equivarrebbe a terze elezioni, cosa che gli stessi socialisti dicono di non volere.

D’altra parte, Ciudadanos è stato rapidissimo a cambiare il suo irremovibile no a Rajoy e al suo governo con un’astensione tecnica (a cambio, si è visto qualche giorno fa, di una sostanziale quota di potere nel tavolo di presidenza del Congresso dei deputati). Ma, almeno per ora, la piroetta politica è stata già abbastanza impressionante e il partito di Albert Rivera esclude di poter dire di Sì a un governo guidato dall’anziano leader popolare. Lo stesso Rivera però è tornato a chiedere al capo dello stato nell’incontro di ieri di formare un governo «costituzionalista» (e cioè Pp-Psoe-C) ma, questo sì, con un altro presidente.

Poi c’è Unidos Podemos e i suoi alleati, da cui nessuno si aspetta che votino Rajoy. Pablo Iglesias ha difeso davanti al re che Sánchez dovrebbe cercare di costruire un governo alternativo, che oltre all’accordo con Unidos Podemos, già sufficientemente problematico, dovrebbe passare per accordi, oltre che con C, sempre più agli antipodi di Unidos Podemos, con i nazionalisti, come visto. Che però si dicono favorevoli a questa opzione (il tutto mentre il Partito Democràta català, erede di Convergència, allo stesso tempo negozia sotto banco con i «nemici« popolari perché deroghino il regolamento parlamentare per concedergli il gruppo, con tutti i privilegi politici ed economici associati).

L’impressione è che molti stiano giocando due partite, una pubblica e una dietro le quinte. Altrimenti non si capisce sulla base di quale considerazione Rajoy ha detto di sì al re (a giudicare dalla conferenza stampa di ieri sera avrebbe però rinunciato all’idea di un’investitura già la settimana prossima) senza avere lo straccio di un voto di appoggio. D’altra parte, è molto chiaro che per qualsiasi partito, persino i più affini ideologicamente, come C, permettere a Rajoy di tornare a guidare il paese dopo ormai quasi un anno di interinità potrebbe avere un costo elettorale e politico altissimo. Don Mariano non è un uomo da colpi di scena.

La «vecchia» politica di piccole concessioni a cui è abituato, come quella che Aznar faceva con i catalani per ottenerne l’appoggio, oggi potrebbe non funzionare più. Forse ha qualche asso nella manica. Forse spera nella pressione per dare una risposta alla Commissione entro ottobre sui nuovi tagli promessi per schivare la multa. O forse, come nel suo stile, aspetta solo che siano gli altri a logorarsi prima di lui.