«Nel finale di Tales, uno dei protagonisti (il documentarista che filma la gente e la città) parla di film chiusi nel cassetto che prima o poi escono fuori. Il mio, per quasi tre anni, è rimasto fermo e ora sono qui a Venezia». Rakhshan Bani-Etemad comincia dalla fine del suo nuovo lavoro, in gara all’ultima Mostra del cinema Venezia – dove l’abbiamo incontrata – con cui ha vinto il premio alla sceneggiatura (si può vedere in Venezia a Roma, stasera, mercoledì 16,  alle 20.30 e a Milano domenica 21 alle 19.40 e lunedì 22 alle 13.00.). Da qui racconta la difficile genesi di un’opera che rivela il quotidiano, pubblico e privato, dell’Iran contemporaneo. Anche per questo, la regista iraniana, conosciuta per i suoi documentari, ha presentato questo film come una serie di cortometraggi, era l’unico modo per ottenere il nullaosta sotto il regime di Ahmadinejad.

Quali sono i principali ostacoli che ha incontrato?

Avevo deciso che non avrei più girato un film con un governo che non mi permetteva di lavorare liberamente. Poi ho pensato a lungo a quello che volevo fare davvero, e così ho cercato un modo per superare i blocchi della censura. Il film breve si è rivelato l’escamotage perfetto. Ho potuto realizzare quello che avevo in mente senza perdere mai di vista l’idea iniziale del lungometraggio.

«Tales» intreccia vite, dramma e denunce con estrema fluidità grazie a una macchina da presa nomade e quasi «accidentale». Come è riuscita a dare questa sensazione?

Tutti gli elementi cinematografici e i dettagli del mio film sono stati pianificati, ed è proprio questo che regala una sensazione random, quasi documentaristica. Per molti spettatori alcune sequenze, come quella dei giovani sul bus sembra casuali, come se fossero state girate dalla telecamera nascosta di un giornalista. Invece abbiamo fatto molteprove, curando ogni dettaglio per ottenere un risultato «reale».

Il cinema neorealista ha influenzato il suo sguardo filmico sul mondo?

Per la mia generazione il neorealismo è stato un riferimento centrale. La mia produzione, che predilige il cinema sociale, è sempre stata molto attenta alle opere italiane, ed è anche la ragione per cui utilizzo queste tecniche di «verità». Nell’ultima storia del mio film si ha la sensazione di assistere alla vita cosi com’è. Abbiamo lavorato sui silenzi, sul caos degli eventi con grande meticolosità.

In «Tales», come in tante altre sue opere precedenti, la condizione femminile è al centro del suo discorso. Cosa è cambiato per la donna in questi ultimi anni, e soprattutto in Iran?

C’è stato un processo di consapevolezza per tutte le donne nel mondo ma direi anche per quasi tutti gli esseri umani, oramai consci dei propri diritti. In Iran le donne hanno fatto uno sforzo di resistenza enorme per raggiungere uno status che prima non avevano. È stato il frutto di anni di lotta.