Erano in auto sulla strada che porta all’aeroporto di Ghat, oasi urbanizzata e nodo di scambio verso la zona desertica dei pozzi petroliferi del Fezzan, nella fascia meridionale della Libia, la più contesa insieme ai terminal petroliferi sulla costa. Due italiani e un canadese alle dipendenze della Libya Branch, controllata libica, con sede a Tripoli, della piemontese Conicos spa (Contratti internazionali di costruzioni) di Mondovì, società di costruzioni di infrastrutture che opera in Libia dal 1977 e che aveva già subito un rapimento di suoi dipendenti, poi rilasciati, nel 2011.

La Farnesina ha confermato solo ieri sera il rapimento dei tre occidentali, raccomandando il massimo riserbo sulla vicenda, per altro ancora molto oscura. Non si sa infatti chi abbia sequestrato i due connazionali – Danilo Calonego di Sedico, in provincia di Belluno, e Bruno Cacace, 56 anni, residente a Borgo San Dalmazzo, provincia di Cuneo – e il collega canadese, né se ci sia stato un conflitto a fuoco prima della loro cattura, avvenuta all’alba di ieri.

Lo stesso sindaco di Ghat, Qumani Mohammad Saleh, ha detto al sito arabo Tuniscope che il rapimento non è stato rivendicato da alcuna sigla e che si sta cercando di capire chi lo abbia realizzato. La città di Ghat si trova ufficialmente sotto il controllo del governo di unità nazionale di Tripoli. Ma la zona desertica del Fezzan, ancor da prima del crollo del regime di Gheddafi, è teatro di scorribande di gruppi tuareg e berberi provenienti anche dai territori desertici oltre confine, dal Mali e dal Niger. Alcuni di questi gruppi sono controllati da Al Qaida. Secondo notizie difficilmente verificabili fornite da una tv libica gli occidentali sarebbero stati rapiti vicino al monte Cahf al-Giunoun da uomini a volto coperto a bordo di un fuoristrada che avrebbero inizialmente abbordato l’auto su cui viaggiavano i lavoratori italiani fingendo di essere in panne e chiedendo aiuto nei pressi di una caverna. Oltre ai tre occidentali sarebbe stato rapito anche l’autista della ditta Libya Branch, un cittadino di Ghat.

La situazione in Libia è sempre più ingarbugliata e non è chiaro quali tribù controllino quali territori e con quali legami e patti. È di ieri ad esempio il sospetto, avanzato da fonti locali legate alla società petrolifera libica Noc, che il capo delle milizie che da anni gestiscono la sicurezza attorno ai terminal petroliferi sulla costa, Ibrahim Jaddhram, si sia segretamente accordato con il generale Kalifa Haftar e delle sue milizie denominate «esercito libico», per consegnargli i terminal praticamente senza combattere.

A dimostrazione di questa tesi viene ricordata l’esigua resistenza armata delle guardie petrolifere a difesa di Ras Lanuf e Zuetina: i due terminal sono caduti nelle mani degli uomini di Haftar nel giro di pochi minuti il 12 e il 13 settembre. In più le fonti libiche sostengono che lo stesso Jadhram aveva già evacuato la sua famiglia, della tribù dei Magharba, da una settimana, trasferendola in una zona più sicura. Ancora domenica, secondo il sito Libya Herald, sporadici scontri a fuoco avrebbero contrapposto guardie petrolifere e uomini di Haftar nei porti di Sidra e Ras Lanuf.

Il governo di Tripoli del premier Al Sarraj, sostenuto a livello internazionale, può contare su scarse truppe sul campo: quasi unicamente sulle milizie di Misurata, che sono ancora impegnate a Sirte, con l’appoggio dell’aviazione statunitense, nella guerra contro l’Isis che in quella città aveva stabilito la sua base.

Nel frattempo Sarraj ha cercato di costituire a Tripoli una sua guardia presidenziale che gli garantisse almeno libertà di manovra nella capitale. Ma, come ricorda Claudia Gazzini, analista senior dell’International Crisis Group: «Qualsiasi risposta militare proveniente dalla Libia occidentale rischia di incontrare la reazione delle tribù dell’est, a maggior ragione quando si parla di interessi petroliferi». Il generale Haftar, che fa riferimento al Parlamento di Tobruk e al governo di Al Bayda, continua a godere di un esplicito appoggio dell’Egitto, proprio ieri accusato da Misurata di fornirgli anche una copertura di raid aerei. Da New York, l’inviato Onu per la Libia Martin Kobler è tornato a chiedere un dialogo al generale Haftar.