Due città, due simboli per lo Stato Islamico e due operazioni che potrebbero scardinarne la macchina della propaganda. Raqqa e Fallujah sono oggi il terreno di controffensive dall’enorme potenziale ma anche di grande rischio.

A 24 ore dal lancio dell’operazione per la liberazione di Raqqa, le Forze Democratiche Siriane (Sdf) hanno liberato tre villaggi a nord della città. L’Isis è stato costretto ad arretrare, segno che la controffensiva potrebbe gradualmente portare a risultati concreti.
L’operazione è stata ufficialmente lanciata martedì: le Sdf, federazione di gruppi armati arabi, assiri e turkmeni guidati dai kurdi di Rojava, ha messo in campo 30mila uomini per liberare quella che viene considerata ormai da due anni la “capitale” del sedicente califfato.

Secondo quanto spiegato dalle Ypg kurde, i combattenti attaccheranno da tre direzioni diverse, a partire da una distanza di 50 km da Raqqa. L’obiettivo è tagliare le vie di rifornimento settentrionali allo Stato Islamico e relegarlo nella zona sud della città. La presenza di gruppi arabi, dicono i comandanti delle Sdf, servirà ad attirare il sostegno delle comunità arabe che temono rappresaglie e sfollamenti per mano kurda.

A sostenerli dall’alto saranno i raid aerei della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Dopo aver escluso Rojava dal tavolo del negoziato di Ginevra, su preciso diktat turco, ora Washington non vuole perdere l’occasione di mettere il cappello sull’offensiva più importante in due anni di “califfato”.

Occasione ghiotta anche per la Russia che ha già proposto bombardamenti congiunti con l’aviazione Usa. Gli Stati Uniti hanno rifiutato la cooperazione con Mosca per la seconda volta in sette giorni. Ma ieri una porta pareva aprirsi: il portavoce delle Forze Democratiche, Talal Selo, ha fatto sapere che i leader militari della federazione e la coalizione stanno discutendo della possibilità di coordinarsi con l’esercito russo.

I kurdi di Rojava si giocano molto: Raqqa è preda succosa, rappresenta il modello statuale immaginato dall’Isis, è il cuore della sua capacità militare ma soprattutto è la concretizzazione delle ambizioni amministrative del “califfo” al-Baghdadi. Se le Sdf riusciranno a segnare punti importanti nel medio periodo, la questione kurda si porrebbe a tutt’altro livello: sarà molto più difficile per la Turchia realizzare la zona cuscinetto al confine e l’esclusione di una forza tanto centrale dal negoziato.

Il simbolismo dietro l’operazione è esplosiva: combattenti auto-organizzati, con alle spalle un modello democratico confederale, che arrivano dove eserciti nazionali non sono arrivati. E ci arrivano con una federazione multi-etnica e multi-religiosa, specchio del futuro che immaginano per la Siria post-Isis.

Oltre il confine sta un Iraq che ha nei settarismi interni uno dei principali pericoli alla stabilità. Una città come Fallujah ha altrettanto valore simbolico di Raqqa: nella provincia sunnita di Anbar, è stato il cuore della resistenza armata all’invasione Usa del 2003. Dopo la liberazione di Ramadi avvenuta a fine dicembre, Baghdad punta su Fallujah per mettere freno alle proteste popolari alimentate nelle ultime settimane dai brutali attacchi islamisti ai quartieri della capitale. Ieri l’ennesimo: un bomba è esplosa a Abu Deshir, uccidendo una persona e ferendone sette.

Per farlo ha bisogno non solo di vittorie ma di vittorie pulite. Deve cioè evitare i settarismi che hanno operato a Tikrit e nelle altre comunità sunnite liberate dalle forze sciite sottoforma di rappresaglie e umiliazioni. A Fallujah ci sono tra i 60 e i 100mila civili (erano 300mila prima dell’occupazione islamista del 2014) e oggi sono letteralmente ostaggio dello Stato Islamico: usati come scudo umano, dicono fonti locali, e ridotti alla fame dall’accerchiamento dell’esercito governativo che da mesi taglia le vie di rifornimento dell’Isis, impedendo così l’ingresso di cibo.

Il premier al-Abadi usa la televisione per rassicurare i residenti di Fallujah: «Alle forze armate è stato ordinato di preservare la vita dei cittadini e proteggere le proprietà pubbliche e private», ha detto nei giorni scorsi sperando di porsi agli occhi dei civili spaventati dalle potenziali violenze sciite come una valida alternativa alla brutalità dello Stato Islamico. Per farlo ha ordinato l’apertura di corridoi umanitari per coprire la fuga dei civili intrappolati e di campi che li accolgano. Ma da domenica sera solo 17 famiglie sono riuscite a lasciare la città.