Fare luce sulla settimana di blackout vissuta da centinaia di migliaia di persone nell’Italia centrale. Una situazione clamorosa, enorme, che si è abbattuta su un territorio già provato da un’ondata sismica in atto dalla fine di agosto. Per questo i vertici di Enel e Terna saranno ascoltati dalla Camera dei Deputati in un’audizione annunciata dal presidente della Commissione Ambiente, il dem Ermete Realacci, d’accordo con Guglielmo Epifani, che presiede la Commissione Attività Produttive.

Realacci, che risposte pensate di ottenere da Enel e Terna?

Vogliamo capire bene cosa sia successo, prima di tutto. Ci sono stati errori? È chiaro, ma dobbiamo far sì che certe cose non accadano mai più. È vero, ci siamo trovati davanti a una situazione di particolare gravità, ma bisogna entrare nell’ordine di idee che eventi del genere non avvengono a cadenza secolare, ma molto spesso.

Davvero si può dire che la neve sugli Appennini sia un evento così straordinario?

Direi di sì. La nevicata è stata enorme e l’emergenza ancora non è finita: adesso c’è il rischio delle esondazioni causate dallo sciogliersi della neve. Non siamo nemmeno in grado di fare una stima precisa dei danni: non possiamo sapere cosa ci sia sotto la neve, quale sia la condizione della montagna. Questa occasione tragica però deve essere anche un incentivo per fare della manutenzione vera.

Che ci siano stati errori nella gestione dell’emergenza è tuttavia innegabile.

Nessuno lo mette in dubbio. Da questi errori però dobbiamo migliorarci: anche il sistema di protezione civile è cambiato molto negli anni, migliorando dopo tanti sbagli. Adesso la situazione è diversa, ma quando Pertini disse, dopo il terremoto dell’Irpinia, che lo Stato non c’era, aveva ragione. I primi a intervenire, ricordo, furono i servizi d’ordine dei gruppi della sinistra. È nell’emergenza che gli italiani danno sempre il meglio di se stessi. A proposito, posso dire una cosa?

Prego.

Penso che la vignetta animata di Makkox per rispondere a Charlie Hebdo sia stata straordinaria, il miglior manifesto di un certo tipo d’Italia.

Quindi lei dice che, comunque, lo Stato era presente, pur tra tanti errori. Giusto?

Sì, lo Stato era presente. La Protezione Civile è intervenuta con migliaia di uomini, la stessa Enel ha fornito un migliaio di generatori elettrici. Qualcosa non ha funzionato, e su questo accerteremo ogni responsabilità e lavoreremo perché certe cose non accadano mai più, però gli interventi sono stati tanti. Faccio un esempio: quando l’uragano Katrina si abbatté su New Orleans, l’allarme fu dato ma molti rimasero comunque in città. Una cosa del genere in Italia non potrebbe succedere.

La questione è anche politica. A breve si comincerà a discutere gli emendamenti sui decreti attuativi del provvedimento sul terremoto fatto a dicembre. Come intervenire?

Alcune cose sono già state fatte: nella legge di bilancio c’è il cosiddetto sisma bonus, che porta dal 65% all’85% il contributo per la messa in sicurezza della propria abitazione. Per la verifica statica invece il contributo è al 65%. Non è poco. Questo tipo di politiche sono molto importanti, servono a rilanciare l’economia.

In che senso?

Rilanciare un’edilizia sostenibile creerebbe posti di lavoro. Io vedo qui la nuova frontiera. Poi l’Italia è un paese ricchissimo e fatto soprattutto di piccoli paesi, bisogna difendere le comunità e farle tornare a vivere. Questo discorso, sia chiaro, non è una tutela del piccolo mondo antico ma una scommessa sull’Italia, il banco di prova di un’altra economia.

Al lavoro ci sono già un commissario alla ricostruzione, il governo, quattro regioni, le province e decine di Comuni. Non è che tutti questi enti coinvolti finiscano solo con il rallentare ogni processo?

Sì, ma dobbiamo porci il problema di come fare altrimenti. Bisogna correre, anche perché non è che l’inverno aspetta che noi rifacciamo le stalle. S’è visto. Chiaro che i disservizi sono figli del complicato confine tra la trasparenza delle regole e la loro efficacia. Tante cose si possono fare subito, comunque: penso alla banda larga o a una proposta che non comporta nemmeno l’utilizzo di risorse. Perché non utilizzare la quota dell’8×1000 destinata allo Stato per il recupero dei beni artistici danneggiati?