Minimo, garantito o di sostegno. Ognuno lo aggettiva a piacere, tuttavia il Friuli Venezia Giulia è la prima regione d’Italia a garantire reddito vero nell’epoca della Grande Crisi.

Si tratta di 550 euro al mese per un massimo di due anni. Lo ha deciso l’aula del consiglio regionale con una maggioranza altrettanto significativa. Hanno votato a favore in 27: Pd, civica, Sel e pentastellati. Contrari gli otto consiglieri regionali di Forza Italia, Autonomia responsabile, Ncd, Fdi-An. La governatrice Debora Serracchiani (che è anche vice segretaria del Pd di Renzi) aveva inutilmente auspicato l’abbattimento di steccati: «Non ci sono bandierine da mettere, ci sono temi su cui nessuno può aggiungere i suoi colori politici. Ci sono famiglie per le quali 180 euro al mese fanno la differenza. Tutti insieme abbiamo messo dei tasselli, una piccola risposta assolutamente sperimentale. Sarebbe incomprensibile, illogico, improprio dividersi su questo tema».

È comunque una scelta netta, di campo, perfino politicamente autonoma. Il «reddito alla friulana» non sarà sulla carta, com’è accaduto in Lazio. La giunta Serracchiani ha già stanziato 10 milioni e il provvedimento viene già esaltato come una vittoria dal M5S…

In aula Stefano Pustetto (Sel), nel ruolo di relatore di maggioranza, ha isistito proprio sul «reddito minimo» per altro teorizzato nel 1942 dai liberali inglesi, prima che fosse realizzato dal governo laburista sei anni più tardi. E almeno il Friuli si allinea all’Unione europea che dalla bellezza di 23 anni raccomanda l’adozione di misure riguardanti il reddito minimo, che solo Italia e Grecia disattendono.

Il «reddito alla friulana» funzionerà in base a precisi criteri, mentre la gestione sarà imperniata sui Centri per l’impiego (e, quindi, non sull’Inps) con l’obiettivo di collegare al territorio l’erogazione del sostegno economico.

Fissati già i requisiti per ottenere i 550 euro al mese. Tanto per cominciare, occorre un reddito certificato Isee inferiore ai 6.000 euro all’anno. Poi l’assegno è stato legato a filo doppio al «patto» che prevede formazione, ricerca lavoro e attività socialmente utili. Include anche i pensionati, che sono stati messi in ginocchio dalla recessione. Il M5S ha fatto poi scattare il vincolo fra reddito minimo e frequenza scolastica: se in famiglia si verifica un abbandono scolastico, cessa l’aiuto economico. Infine, occorre una residenza di almeno due anni in Friuli.

Le interpretazioni politiche sono differenti. Gino Gregoris (Civica) ha scandito: «Non è reddito di cittadinanza né minimo garantito, ma una misura attiva di sostegno di tipo universalistico e selettiva». Ma Cristian Sergo del M5S ha insistito sulla versione Beppe Grillo: «Gli interventi tendono a contrastare povertà, disuguaglianza e l’esclusione sociale».

Il Pd ha declinato così il provvedimento: «L’incremento della povertà assoluta diffusa e la diminuzione dell’occupazione sono all’origine della proposta di legge che mira a qualificare le misure di sostegno al reddito con azioni non solo di tipo assistenziale ma anche di sviluppo, di inserimento, promozione sociale e lavorativa».

In linea di massima, il «reddito alla friulana» dovrebbe interessare circa 10 mila potenziali beneficiari in uno scenario con quasi il 9% di disoccupazione. Per di più, si tratta comunque di una misura «sperimentale»: tre anni in cui l’erogazione dei 550 euro al mese verrà controllata attraverso i Cpi e gli stessi uffici della Regione. Secondo l’assessore Maria Sandra Telescala, va inquadrata nella cornice ben più ampia del nuovo piano regionale del sociale: «Alla fine del percorso di riordino all’interno delle misure di sostegno al reddito avremo una parte delle politiche sociali, tra cui in particolare il fondo di solidarietà. Nonché la carta famiglia, la carta acquisti e altre misure».