Resisterà il «titolo parlante»? La definizione è presa dalla memoria degli avvocati dello stato, che ieri mattina davanti alla seconda sezione bis del Tribunale amministrativo del Lazio hanno difeso la formula scelta dal governo per battezzare la riforma costituzionale Renzi-Boschi e per chiamare al referendum del 4 dicembre i cittadini. Per i parlamentari di Sinistra italiana e Movimento 5 Stelle De Petris e Toninelli, e per gli avvocati Bozzi e Palumbo (difesi da Vasques), quel titolo che parla di «superamento del bicameralismo, riduzione dei parlamentari e contenimento dei costi delle istituzioni» è ingannevole per gli elettori, essendo formulato – senza i riferimenti, previsti dalla legge, agli articoli modificati della Costituzione – come un invito a votare Sì. Il Tar, dopo un pomeriggio di camera di consiglio, ieri sera non aveva ancora comunicato la sua decisione. Dalla quale dipende non solo la sorte del quesito «governativo» ma anche quella del referendum, che potrebbe al limite slittare.
Il Tar, infatti, potrebbe decidere di fissare un’altra udienza per riunire l’esame del ricorso con quelli analoghi proposti dal Codacons e dall’ex presidente della Corte costituzionale Onida. E (anche in relazione a questa esigenza) sospendere la validità del decreto del presidente della Repubblica che ha fissato le urne e formalizzato il quesito: ne risulterebbe un clamoroso rinvio del referendum. Ma potrebbe anche decidere nel merito con una sentenza di rigetto o di accoglimento (in questo caso disponendo una nuova formulazione del quesito). Potrebbe persino rimettere la questione della costituzionalità della legge sul referendum alla Corte costituzionale. La quale ha tempi lunghi, ma – sostiene Onida – potrebbe eventualmente sospendere per cautela le urne.

La decisione arriverà nelle prossime ore, forse oggi. Gli avvocati del comitato del Sì, intervenuti ieri contro le tesi dei ricorrenti, hanno però riconosciuto l’opportunità di affiggere in tutti i seggi il testo delle effettive modifiche alla Costituzione, non desumibili dal quesito sulla schede. Schede che, ha informato ieri Alfano sventolando un facsimile, sono comunque già in fase di stampa da parte del Poligrafico.
Gli avvocati del governo hanno difeso la correttezza del quesito. Hanno chiesto al Tar di rigettare i ricorsi per difetto di giurisdizione, perché il decreto del presidente della Repubblica dev’essere considerato un «atto vincolato» dalle decisioni della Cassazione e del Consiglio dei ministri, dunque insindacabile. Ieri, però, proprio gli avvocati dello stato hanno prodotto una copia della deliberazione del Consiglio dei ministri del 26 settembre, quello che ha fissato la data del referendum al 4 dicembre. Si è così scoperto che in quell’atto non c’è traccia del quesito da stampare sulla scheda, quello che i ricorrenti considerano «fuorviante»: dunque sarebbe «nato» al Quirinale, direttamente nel decreto del presidente, con la formula vistata dalla Cassazione.
L’avvocatura dello stato, inoltre, ha difeso la scelta di definire sulla scheda del referendum la Renzi-Boschi «legge costituzionale» in luogo di quella più corretta di «legge di revisione costituzionale». Per farlo, però, ha finito con avvalorare una delle tesi dei sostenitori del No. È vero, hanno in sostanza riconosciuto, che nella legge del 1970 che ha introdotto il referendum si parla a questo proposito di «revisione costituzionale». Ma all’epoca si immaginavano interventi sulla Costituzione «puntuali e limitati», mentre la Renzi-Boschi modifica «interi istituti costituzionali»; è un riscrittura della Carta così vasta da potersi ben chiamare «legge costituzionale».