È un pezzo che Matteo Renzi non ne azzecca più una. Tirare fuori a supporto delle riforme, di fronte alla direzione Pd, un video dell’ex presidente della Repubblica più giustamente impopolare che ci sia, Napolitano re Giorgio, non era stata una grande idea. Il monarca stesso ha poi deciso di tornare direttamente in campo. A fianco della ministra che quasi lo eguaglia in termini di impopolarità, Maria Elena Boschi, arrivata ieri terz’ultima nell’indice di gradimento dei ministri rilevato da Ipr Marketing, ma a un’incollatura dalle peggio piazzate Stefania Giannini e Marianna Madia.

L’emerito si rivolge direttamente al popolo votante, augurandosi che «la grande maggioranza dei cittadini non faccia ancora una volta finire nel nulla gli sforzi messi in atto in due anni dal Parlamento». Per la verità al Parlamento è stato permesso di fare ben poco. Si è occupato di tutto il governo. Poco importa. Napolitano considera il testo Renzi-Boschi come la “sua” riforma: «Mi ci sono rotto la testa per nove anni». Poi duetta col Renzi che mostrando il video presidenziale aveva ammonito: «Ricordatevi che lo avete applaudito tutti allora». L’oggetto di quel plauso si spinge oltre: «Allora ricevetti dalle forze politiche persino giuramenti». Per concludere in bellezza il santo protettore della riforma regola qualche conto con chi critica il testo e persino con i costituenti. Ai primi re Giorgio riserva il meritato disprezzo, derubricando le loro critiche a «perfezionismi che dicono qua e là alcuni professori dovrebbero essere apportati al testo». I secondi li liquida sentenziando che «nella seconda parte della Costituzione la loro opera non è stata perfetta e lo sapevano anche loro». Chissà, forse speravano nell’avvento di un Renzi…

La sparata del senatore a vita è l’ennesima prova di quanto alto sia l’allarme tra i paladini della riforma e del governo. Il referendum sull’Italicum non si farà. Il comitato organizzatore ha reso noto ieri che mancano all’appello 80mila firme. E’ una pessima notizia per chi ritiene quella legge elettorale esiziale, ma non è rosea neppure per il fronte del Sì al referendum: significa che chi non vuole l’Italicum ha una sola arma, il No al referendum costituzionale.

C’è di peggio, anzi molto di peggio. Nella direzione Pd il documento della minoranza che chiedeva diritto di cittadinanza nel partito anche ai sostenitori del No è stato bocciato a larghissima maggioranza. Renzi non ha neppure fatto cenno alla possibilità di cambiare l’Italicum, il che è di per sé indicativo, e in sua vece il presidente del partito Matteo Orfini ha duramente rimbeccato il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, che proponeva il premio di coalizione invece che di lista. La conseguenza è che probabilmente la minoranza finirà per attestarsi ufficialmente sul No: «Per me è legittimo che chi è nel Pd faccia propaganda per il no, anche se la posizione del partito è per il sì. Voglio sapere se chi vuol votare no è ancora del Pd», ha detto ieri Pierluigi Bersani. Ma anche se i minoritari non troveranno il coraggio di sfidare apertamente Matteo Renzi , gli elettori non faticheranno a trarre le conseguenze da soli.

Sul fronte destro, nonostante il tentativo di Fedele Confalonieri, il quadro non è più luminoso. Ieri Silvio Berlusconi, fresco di dimissioni dall’ospedale San Raffaele, ha confermato il No azzurro, perché «la riforma e la legge elettorale potrebbero portare a un governo dei 5 Stelle».

Persino il fronte Ncd scricchiola e palazzo Chigi teme scossoni. La gravità dell’inchiesta che lambisce Angelino Alfano è tutta da verificare. Il problema è che piove sul bagnato, dal momento che l’Ncd di fatto non esiste già più. Mezzo gruppo del senato, capitanato dallo stesso presidente Renato Schifani, scalpita per tornare ad Arcore, tanto che Renzi, per evitare di fornirgli una scusa, starebbe pensando di far slittare il provvedimento sulla prescrizione a dopo l’estate. E inoltre non è affatto escluso che, a Italicum invariato, Ncd si impegni molto tiepidamente o peggio sul referendum. Alfano, che è il più coinvolto anche perché non ha rinunciato al miraggio di diventare presidente della Sicilia con l’appoggio del Pd, era già un leader per modo di dire. La sua reazione all’inchiesta, con un attacco contro il «ri-uso politico degli scarti di un’inchiesta giudiziaria», certo non lo rende più saldo.

Nasce da questa somma di difficoltà la decisione di Napolitano di scendere fragorosamente in campo. E’ probabile però che abbia ragione il forzista Raffele Fitto, uno dei tanti che ieri da destra e da sinistra hanno criticato l’invadenza del senatore a vita: «Napolitano? E’ il miglior testimonial per il No».