Non c’è alcuna svolta imminente nelle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni. La smentita è secca: la procura di Roma nega assolutamente che dall’Egitto siano arrivate promesse di «nuovi passi avanti nell’inchiesta» sulla barbara uccisione del giovane ricercatore friulano, come riportava ieri Repubblica. Di più: «I magistrati egiziani non hanno annunciato, né fatto intendere, né configurato alcuna novità nelle indagini», riferisce una fonte della procura.

Una smentita che smaschera l’operazione politica che sottende all’articolo apparso sul quotidiano romano in appoggio al nuovo corso alfaniano della Farnesina. La Repubblica infatti spiega che la promessa di «svolta» delle autorità egiziane avrebbe convinto il premier Paolo Gentiloni ad inviare al Cairo l’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini, in stand by a Roma fin dal 10 maggio, giorno della sua nomina. Almeno per un periodo «di prova».

Va ricordato che il suo predecessore, Maurizio Massari, venne richiamato per consultazioni dall’allora ministro degli Esteri Gentiloni l’8 aprile, sotto la pressione mediatica che la famiglia Regeni era riuscita a suscitare, vista la mancanza totale di collaborazione giudiziaria da parte dell’Egitto e i continui depistaggi. Ora le autorità cairote vedono aprirsi nuovi orizzonti e, come riferisce la stessa Repubblica, colgono l’occasione della scadenza diplomatica di fine anno, quando nella sede diplomatica egiziana a Roma il nuovo ambasciatore Hisham Badr dovrebbe prendere il posto dell’uscente Amr Helmy.

Il ministro degli esteri del Cairo Sameh Shourky (che accusò la stampa italiana di diffondere illazioni e congetture sul caso Regeni) l’avrebbe messa così: se non si riapre il canale diplomatico da un lato si chiude anche dall’altro, se non torna Cantini non arriva neppure Badr. Con tutto ciò che ne consegue in termini di scambi economici e di flussi migratori, perché non è da escludere un alleggerimento dei controlli sulle partenze dei migranti dall’Egitto verso l’Italia come forma di ritorsione del regime di al-Sisi.

I malumori sono forti a Piazzale Clodio: «La politica potrebbe decidere in autonomia assoluta, ma inventare inesistenti svolte nelle indagini è molto pericoloso», si sfoga una fonte interna. E invece la procura romana è ancora alle prese con la traduzione dal dialetto cairota degli atti – tutti scritti a mano – consegnati dai magistrati egiziani al procuratore capo Giuseppe Pignatone e al sostituto Sergio Colaiocco, responsabile del fascicolo italiano, nel vertice del 6 e 7 dicembre scorso.

Tra questi anche i verbali di audizione del capo dei sindacati indipendenti degli ambulanti, Mohamed Abdallah, che dimostrano come la polizia egiziana ricevesse informazioni su Regeni almeno fino al 22 gennaio, tre giorni prima che il ricercatore friulano venisse rapito, il 25 gennaio. Ma, come ha sempre ripetuto la famiglia Regeni e le associazioni per i diritti umani, è più importante capire chi è il mandante dell’omicidio e il motivo per il quale “il testimone” Giulio è stato eliminato, piuttosto che sapere chi è ne l’esecutore materiale.

Se non la Farnesina, lo sa bene invece il Consiglio superiore della magistratura, la cui IX Commissione nei giorni scorsi ha deciso di monitorare ancora la nuova fase di collaborazione giudiziaria dell’Egitto che sembra essersi aperta con l’ultimo vertice tra magistrati tenutosi a Roma, prima di «proseguire le attività del Csm, attualmente in corso, nell’ambito del progetto “Smaj” di rafforzamento dell’amministrazione della giustizia egiziana». «Alla luce delle perplessità manifestate da organi di stampa e dal presidente di Amnesty International Italia», ha spiegato il presidente Alessio Zaccaria, laico di area M5S, la commissione del Csm «ha ritenuto allo stato di non assumere ancora una determinazione definitiva in merito e di monitorare attentamente gli sviluppi delle indagini».