C’è una stanzetta persa nel labirinto degli uffici del Parlamento europeo, che ospita tutti i faldoni relativi al Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’accordo commerciale tra Europa e Stati uniti. O almeno, lì si dice siano accatastati quelli relativi alla negoziazione di parte americana, che Washington vuole segreti, al pari dei draft negoziali con cui da tempo contratta insieme alla controparte europea.

Si tratta di una delle tante caratteristiche di un processo ancora lungo, dai tratti oscuri, i cui numeri (i dettagli) che contano sono tenuti nel massimo riserbo.

Si tratta dei prodromi di un accordo che ha vissuto di fiammate, rallentamenti, proteste, dubbi, e che ora si ritrova incasellato in un momento storico su cui pesa l’ottenimento da parte americana del Tpp, il trattato commerciale con l’Asia che esclude la Cina, e le ormai prossime elezioni presidenziali americane.

Tutto questo, unitamente ad altri fattori, significa che probabilmente il Ttip non si chiuderà – neanche nella sua fase negoziale – nel 2016 come invece era stato lasciato intendere.

Posizione rinforzata e voce grossa

Inoltre il recente scandalo Volskwagen ha ancora di più rinforzato la posizione americana, che sul trattato con l’Unione europea sembra poter fare sempre di più la voce grossa.

Tutte le precauzioni richieste dall’Unione europea sugli «altissimi» standard di sicurezza del vecchio continente, grazie alla vicende della marca automobilistica tedesca sembrano essere messi – per un attimo – all’angolo. E gli Usa possono rilassarsi, post Tpp, e tornare a spingere per quei lati del potenziale accordo che dovrebbero favorire soprattutto la propria economia.

Come specificato ieri in un incontro ad hoc sul trattato – organizzato a Bruxelles dall’Ufficio di informazione del Parlamento europeo per l’Italia – da Antonhy Gardner, ambasciatore degli Stati uniti presso l’Unione europea, Washington ha intenzione di sottolineare i propri interessi: «Senza un accordo sul data flow, il flusso e la raccolta dei dati, ha specificato Gardner, non ci sarà il Ttip».

Un’ammissione piuttosto rilevante, visto che invece i negoziatori Ue sembrano sottovalutare il tema inserito nel capitolo relativo all’information technology e all’e-commerce. L’esplicitazione avviene dopo una sentenza europea che ha dichiarato il «safe harbour» dei dati negli Usa, alla luce dello scandalo Nsa, non proprio «safe».

La condizione che complica tutto

La precisazione di Gardner riguarda un accordo di partnership che dovrebbe liberalizzare i rapporti commerciali, con un occhio a tariffe, investimenti e settori chiave (come quello alimentare); l’insistenza degli Usa sulla gestione in casa della immensa mole di dati, pone una condizione che potrebbe complicare non poco i negoziati.

Quest’ultimi sono ad un punto pressoché vicino allo stallo, una condizione che potrebbe durare parecchio tempo. Washington è già in campagna elettorale e nessuno da quelle parti vorrà negoziare alcunché finché non si sarà installata la nuova amministrazione.

Un primo e nuovo contatto sarà stabilito la prossima settimana a Miami; sarà una immediata cartina di tornasole riguardo l’atteggiamento americano, come sottolineato da Paolo De Castro (Pd), relatore sul Ttip della Commissione Agricoltura. Bisognerà capire, in pratica, se gli Usa saranno meno interessati a stringere con i tempi, o – al contrario – se il raggiunto accordo sul Tpp, libererà i suoi negoziatori consentendo un impegno maggiore nella trattativa con l’Europa. A novembre una missione europea valuterà questi umori al Congresso, ma sembrano esserci parecchie ombre, e non solo sull’impianto globale del trattato.

Bernard Lange, socialdemocratico tedesco e relatore sul Ttip della commissione Commercio internazionale del parlamento europeo, non ci va giù leggero: «Siamo in dialogo con la controparte dal luglio 2013, ma risultati concreti non se ne vedono. Attualmente abbiamo molto chiari i punti su cui siamo distanti, quali sono le posizioni in campo, ma non c’è un vero negoziato e non abbiamo risultati concreti da presentare».

Gli interessi americani sono chiari e «si concentrano su alcune aree: l’agricoltura, innanzitutto, è il loro primo interesse, senza dubbio. C’è la questione degli ogm (la cui rilevanza è stata negata da De Castro, ndr) che vogliono portare sui mercati europei, ma questo non può avvenire perché abbiamo legislazioni rigorose al riguardo. Poi informazioni, telecomunicazioni e la questione legata alla privacy. Infine, il settore dell’automotive, su cui gli Usa hanno interessi molto specifici. Lo scandalo Volskwagen ha reso noto che anche le norme americane hanno indipendenza e una funzione di controllo e questo potrebbe portarci a una riflessione sulle disfunzioni delle nostre procedure».

Un altro punto messo in dubbio da Lange, a testimoniare come all’interno del Parlamento, al contrario del governo comunitario e di quello italiano, le posizioni siano anche scettiche, coinvolge i diritti dei lavoratori. «Serve un rispetto delle condizioni del diritto del lavoro – racconta Lange – e gli Usa al riguardo sono molto riluttanti».

La protezione degli investimenti

Più tecnico, almeno in apparenza, un altro elemento di frizione, ovvero la questione relativa alla protezione degli investimenti.

L’Isds è stato bocciato e la Ue ha effettuato un’altra proposta sulle soluzioni delle controversie tra aziende e stati. Gli Usa la stanno valutando, ma i rumors danno i negoziatori di Washingon poco convinti della proposta europea.

E poi c’è il dissenso popolare. Come sottolineato dagli interventi – durante una tavola rotonda con i giornalisti – di Tiziana Berghin (Movimento 5 Stelle) ed Eleonora Forenza (L’Altra europa con Tsipras), nelle scorse settimane le firme e le manifestazioni di milioni di persone hanno dimostrato l’opposizione a questo accordo da parte dei cittadini europei, mai consultati al riguardo.

Mobilitazioni che proseguiranno oggi e vedranno attivo il Gue/Ngl: proteste contro il Ttip e l’austerity che si concluderanno con una manifestazione sabato a Bruxelles.