Formalmente, sono passati 19 mesi dalla prevista chiusura degli Opg, ma tanti problemi restano ancora sul tavolo.

Dopo l’entrata in vigore di una Legge di assoluta civiltà giuridica, che ha già superato con successo un ricorso davanti alla Corte Costituzionale, continua incessante la limitazione della libertà personale di autori di reato (anche per fatti bagatellari) affetti da disturbi psichici, malgrado la legge 81 del 2014 preveda la presa in carico territoriale quale risposta primaria, ed il ricorso alle misure di sicurezza in REMS quale extrema ratio.

Com’è noto, le Regioni hanno resistito al mandato legislativo loro assegnato; le nuove residenze sono sorte con grande ritardo, con gravi deficienze organizzative, e sono per lo più già piene.

Molte sono le differenze tra le varie strutture, ma si può ragionevolmente affermare che in generale stenti a farsi strada la sicurezza della cura, piuttosto che la cura della sicurezza; a breve, peraltro, verrà meno anche il supporto organizzativo prestato dall’Amministrazione Penitenziaria per l’assolvimento degli obblighi di registrazione, e le Rems verranno gravate da nuovi compiti. Molte, ancora, le differenze interpretative.

Così accade (è accaduto di recente in Toscana) che una persona venga «dimenticata» per più di un anno e mezzo, prima in Opg, poi in Rems, malgrado la misura di sicurezza avesse ormai raggiunto il limite massimo, senza che nessuno (Pubblici Ministeri, Magistrati di Sorveglianza, Medici) abbia mai dialogato per porre fine ad una illegittima limitazione della libertà. C’è voluto altro tempo, è servito un Tribunale, quale Giudice dell’Esecuzione (il “Giudice a Berlino”), che accogliendo la richiesta della difesa ha finalmente posto fine ad una «odiosa interpretazione della Legge nei confronti degli internati». Non solo; accade (è accaduto) che un Pubblico Ministero cambi idea, ritenendo a settembre che la misura non fosse scaduta, diversamente da quanto rilevato due mesi prima. Accade che in alcuni Distretti sulle misure di sicurezza si ritenga competente la Magistratura di Sorveglianza, com’è ovvio, mentre in altre si sostenga che la liberazione per cessato decorso del termine spetti al Pubblico Ministero; grazie a questo (insopportabile) ping pong interpretativo si verificano dunque vicende kafkiane come quella citata, che altro non sono che l’espressione evidente di una visione burocratica del problema del disagio psichico, che investe una fetta consistente della popolazione detenuta e internata. Una disattenzione insopportabile.

Fino a che resterà in vita il sistema del doppio binario, del folle reo, occorre che comunque la psichiatria sappia formulare prognosi e disegnare progetti di cura e sostegno con una visione diversa dal passato, senza sposare la logica della medicina difensiva, evitando del pari che le funzioni di custodia prevalgano su quelle di cura.

E’ necessario scongiurare che le Rems, figlie di un Dio maggiore (l’Opg), ne ereditino gli aspetti deteriori, non solo fisici (la contenzione, la punizione) e burocratici (con le più diverse traduzioni a macchia di leopardo del regolamento penitenziario), ma soprattutto culturali; un medico resta un medico, come una rosa è una rosa, è una rosa.

Sarebbe bene che tutti coloro che hanno cura delle persone, e che le persone hanno in cura, trovassero il modo di parlarsi per la ricerca di soluzioni, perché la Legge 81 ha bisogno del sostegno di tutti gli attori chiamati in causa, siano essi giudici, avvocati, medici, assistenti sociali, etc., affinché la limitazione della libertà personale, per qualunque ragione avvenga, si svolga sempre nel rispetto della Legge.