Il presidente del consiglio Matteo Renzi è a caccia dei voti della destra per vincere il referendum. Lo ha detto ieri in un’intervista al Foglio, lo ha ripetuto poi in serata a Perugia in un comizio per il Sì. «Ho detto che il referendum si vince a destra. E per questo voglio prendere i voti della destra. E un autorevole esponente della minoranza del mio partito mi ha criticato per questo. Sì è vero: voglio prendere i voti della destra. E forse per questo lui si chiama minoranza». Ce l’ha con il bersaniano Roberto Speranza che in mattinata gli aveva replicato: «Non vorrei che il giorno dopo il referendum, avendo puntato sugli elettori di destra, ci ritrovassimo tutti iscritti al partito della nazione e il Pd svuotato di idee ed elettori».
Ma Renzi ha ragione di stupirsi dello stupore, anzi secondo alcuni della furia, della minoranza. Non è certo la prima volta che svolge pubblicamente questo ragionamento. E non solo per ragioni «aritmetiche» come vorrebbe il senatore Andrea Marcucci, ma per ragioni politiche. Ideologiche si potrebbe dire. Il tentativo di attirare voti dall’altra parte del campo politico è il manifesto di Renzi già nel 2012, quand’è ancora sindaco di Firenze e la leadership del partito per lui è ancora un’ambizione: «Per vincere le elezioni se non si convince qualche ex elettore di centrodestra va a finire come sempre, cioè si perde», dice. Di qui in avanti ripeterà più volte il concetto, in combinato all’auspicio del Partito della Nazione. Usando per di più la parola «sinistra» come sinonimo di «chi frena il cambiamento».

Così nel Pd viene sdoganato il concetto che è un cazzotto in pancia alla minoranza interna. «Accetto i voti della destra», diceva Roberto Giachetti nella campagna elettorale di Roma dando il benvenuto agli eventuali voti di Denis Verdini. Nel frattempo il collega Piero Fassino imbarca ex forzisti ed ex Cl nelle sue file. E la candidata Valeria Valente mette direttamente in lista gli esponenti di Ala, peraltro in Campania formata da uomini dell’ex sottosegretario Cosentino. Com’è andata è noto, tutti e tre sconfitti. Anzi a Milano il renziano Sala acciuffa la vittoria al ballottaggio solo grazie ai voti della sinistra e dei radicali.

Se funzioni o meno la caccia ai voti di destra o se invece non si sia fin qui risolta nella somma zero (tanti ne guadagna quanti ne perde) sarebbe un’altra storia. Se ne parlerà dopo il referendum. Per Loredana De Petris (Si) quella di oggi di Renzi è «una mossa disperata e rivela quanto tema di essere sconfitto. Ma si illude». Che Renzi ci provi è certo, non da oggi. Prima di dirlo apertis verbis al Foglio l’aveva lasciato intendere lanciando l’amo del Ponte sullo Stretto. E facendo circolare fra i suoi il ritornello della sua riforma simile a quella del Cavaliere. Per l’elettore di destra «se la scelta diventa votare sul merito vota sì», ha detto lui; «La riforma è quello che ha sempre chiesto Berlusconi», ha spiegato di recente l’ex berlusconiano ministro Galletti. E la minoranza Pd non lo ha scoperto ieri leggendo quella che Gianni Cuperlo definisce «una brutta frase».