Uno squillo di tromba, più che il primo colpo di fucile. La passerella del presidente del Consiglio in parlamento, alla vigilia dell’ultimo voto sulle riforme costituzionali, è stata un annuncio di guerra più che l’apertura ufficiale delle ostilità. Anche perché ad ascoltarlo c’erano solo i deputati della maggioranza, neanche tutti; la platea non era quella dei comizi migliori. Fuori tutte le opposizioni, Matteo Renzi si è rivolto a uno spicchio dell’aula della camera, avvertendo che farà in prima persona, da palazzo Chigi, la campagna elettorale per il referendum costituzionale. «Con tutta la tenacia, la determinazione e l’energia di cui sono capace», ha detto, e senza limiti: «Useremo anche argomenti demagogici e popolari, mi auguro non populisti».

Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana, Forza Italia e Lega hanno abbandonato l’aula, per guastare la festa e perché offesi dall’atteggiamento del presidente del Consiglio. Che prima di replicare non ha ascoltato alcun intervento del dibattito generale e un paio se li è persi scherzando con Cuperlo e Speranza alla buvette di Montecitorio. Non era stato comunque un gran dibattito. Al mattino in aula erano in 15, più una sottosegretaria, il 2% dell’aula. «Questo è il clima costituente», ha detto il forzista Baldelli, uno dei pochi. L’ultimo passaggio della legge costituzionale arriva tre mesi esatti dopo l’ultima votazione della camera, 11 gennaio scorso, il governo non ha ritardato nemmeno un giorno rispetto al termine minimo previsto dalla procedura di revisione. E il governo c’era praticamente tutto, esauriti i posti attorno alla sedia vuota di Renzi, arrivato per vedere sfilar via tutte le opposizioni. Che in coro gli hanno ricordato il precetto di Calamandrei: «Quando si scrive la Costituzione i banchi del governo devono restare vuoti». Renzi per rispondere aveva pronte un bel po’ di contro citazioni di Calamandrei, ma anche di Meuccio Ruini, Giuseppe Dossetti e Umberto Terracini. E una cosa sua, originale: «Questi che adesso scappano, escono dall’aula e non ci rientreranno dopo le elezioni».
Il presidente del Consiglio aveva con sé un discreto pacco di appunti, raccolti sotto un titolo messo a disposizione dei fotografi: «Le critiche alla riforma: botta e risposta». «Oggi per la prima e ultima volta sto nel merito – ha spiegato prima di entrare in aula – ma quando arriveremo al referendum ci divertiamo». Qualcosa di divertente in realtà non è mancata neanche ieri, a cominciare dal paragone tra questo parlamento e l’assemblea Costituente. Secondo i calcoli di Renzi, questa riforma è stata più discussa della stessa Costituzione: «173 sedute di camera e senato contro le 170 di allora».Ma allora non c’era un testo del governo e il lavoro redigente lo fecero la Commissione dei 75 e le sottocommissioni, in almeno altrettante sedute rispetto all’aula. Mentre questa volta le commissioni sono state bloccate, per evitare che passassero modifiche al testo del governo, oppure sono stati sostituiti i commissari non in linea.

Proprio sul ruolo del governo ha voluto rispondere Renzi, in uno dei suoi 25 «botta e risposta» dedicati a selezionate obiezioni avanzate dagli avversari della riforma. Non avendo ascoltato nessuno, Renzi si è perso anche l’intervento del relatore, il renziano Fiano, secondo il quale la riforma «non è un testo di natura governativa». Una tesi coraggiosa, essendo il disegno di legge firmato da Renzi e Boschi. Ed è proprio così, ha detto invece il presidente del Consiglio, questa riforma l’ha voluta il governo. Del resto «proprio Terracini nel 1946 fece mettere ai voti che l’iniziativa costituzionale può essere del governo». Trasformato il presidente della Costituente in un avversario del parlamentarismo, per Renzi non è stato impossibile neanche raccontare Ruini e Dossetti come rottamatori della Costituzione – solo aspiranti, però, mentre lui sta per riuscirci.
«Rispondere nel merito alle obiezioni», in questo come in molti altri casi, per Renzi ha significato in realtà rivendicare le critiche. «Non dovrebbe essere il governo a chiedere il referendum? Ce l’hanno chiesto i capigruppo (di maggioranza, ndr), rispettiamo il parlamento. E io mi gioco tutto con quel voto». «Limitiamo i poteri delle regioni? È vero, ma i cittadini devono sapere che di questioni importanti come le politiche energetiche si occupa il governo». Magari avendo letto le intercettazioni su Tempa Rossa i cittadini l’hanno già capito. «Il procedimento legislativo è troppo complicato? Vedremo, forse il senato sceglierà di non intervenire sempre. Ma qualche critica alla composizione la capisco, per esempio ai cinque senatori di nomina presidenziale». Sono cinque, e il governo voleva che fossero 21. «Il voto a data certa? È l’antidoto all’uso smodato della decretazione d’urgenza». I decreti però restano, e con i decreti i voti di fiducia sui maxiemendamenti, tutte cose di cui il governo Renzi abusa smodatamente. Il voto a data certa è solo uno strumento in più. E a proposito di data certa, dopo l’intervento del presidente del Consiglio le opposizioni hanno provato a ottenere un rinvio dell’ultimo sì alle riforme. Ma la presidente della camera ha detto no. Si comincia allora oggi pomeriggio con le dichiarazioni di voto. Non possono essere contingentate, ma l’ostruzionismo può essere battuto facendo votare la Costituzione in seduta fiume, magari di notte. «Per approvare la riforma abbiamo fatto troppi strappi alla procedura e ai regolamenti? Non avevamo alternative».