Non si sa con esattezza quanti soldi siano stati bruciati negli ultimi vent’anni tra carte, studi, progetti preliminari e plastici. Una stima al ribasso indica la cifra di 600 milioni di euro buttati. Basti pensare che per stabilizzare definitivamente i 26 mila precari dei comuni siciliani, figli della politica clientelare dei partiti in Sicilia, ne basterebbero la metà.

L’idea del Ponte sullo Stretto è servita a riempire le tasche di consulenti, progettisti e studi professionali. Berlusconi ne aveva fatto un mantra per fini elettorali, salvo poi abbandonare il progetto. A rilanciarlo qualche mese fa è stato il partito di Angelino Alfano con una mozione approvata in Parlamento. Renzi si era premurato però di smorzare le polemiche immediate, «prima le altre opere utili al Sud e poi parleremo del Ponte». Evidentemente il premier ha avuto feedback positivi se adesso, di botto, ha deciso di cambiare rotta. Il Ponte si può fare. Proprio il giorno dopo l’ufficializzazione della data per il referendum costituzionale. Non sarà il fumoso milione di posti di lavoro di Berlusconi, ma di questi tempi, con l’Istat che rivede al ribasso il Pil e la comunità internazionale che un giorno si e l’altro pure fa le pulci ai conti dello Stato, promettere 100 mila posti di lavoro fa gioco al premier.

Cifra che Renzi ha buttato lì, nel corso dell’assemblea per i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo, che nel 2005 era alla testa dell’associazione temporanea di imprese Eurolink Scpa che vinse la gara d’appalto come contraente generale per la costruzione del Ponte con un’offerta di 3,88 miliardi di euro. «Se siete nella condizione di sbloccare le carte e di sistemare quello che è fermo da 10 anni noi ci siamo», ha detto il premier, che ha indicato l’infrastruttura come parte del completamento della Napoli-Palermo, definendola un’opera «utile per tornare ad avere una Sicilia più vicina e per togliere la Calabria dal suo isolamento». Coglie la palla al balzo il numero uno del gruppo, Pietro Salini: «Anche noi ci siamo. Si tratta di parlare con le varie amministrazioni e fare un progetto che non è per noi, ma per il Paese».

Tanto è bastato a riaccendere le polemiche su un opera pensata addirittura nel 250 a.C dai romani. Nonostante la società stretto di Messina Spa sia in liquidazione, continuando comunque a pagare una decina di collaboratori, il numero uno di Anas, Gianni Vittorio Armani, ha immediatamente dato la propria disponibilità: «Se e quando il governo ce lo chiederà, siamo pronti a riavviare l’opera, soprattutto ora che a dicembre sarà terminata la Salerno-Reggio Calabria». Beppe Grillo sul suo blog ha subito stoppato l’idea del «menomato morale». E’ «un’opera che non vedrà mai la luce, già costata circa 600 milioni ai contribuenti» e «Monti stanziò 300 milioni per il pagamento delle penali per la non realizzazione del progetto», sbotta il leader M5S. Aggiungendo che «secondo il piano economico approvato dal Cda della Stretto di Messina Spa il costo dell’opera sarebbe di 8,5 miliardi, mezzo reddito di cittadinanza con cui il M5S salverebbe 10 milioni di italiani dalla fame».

Anche chi prima sosteneva il progetto, come Forza Italia, irride il premier, ma per evidenti schemi politici. Il compito spetta a Renato Brunetta, capogruppo alla Camera: «L’obiettivo del premier è deviare l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema che non sia il referendum, considerando anche una campagna per lui tutta in salita». L’altolà istituzionale arriva da Laura Boldrini. Per la presidente della Camera la priorità non è il Ponte ma «rilanciare il lavoro al Sud e poi mettere in sicurezza il nostro territorio, anche in Sicilia e Calabria, regioni sismiche».

Dalla parte del No Italia Nostra e Green Italia. Per il presidente dell’associazione Marco Parini- (Italia Nostra) l’opera sarebbe «devastante per il paesaggio e di dubbia sicurezza per l’elevato rischio sismico del territorio», mentre i portavoce di Green Italia Annalisa Corrado e Oliviero Alotto ricordano a Renzi «le sue sagge parole pronunciate nel 2012, quando disse che invece di parlare del Ponte Messina, sarebbe stato il caso di dare 8 miliardi alle scuole per renderle più moderne e sicure».
E se il governatore Rosario Crocetta appare possibilista («se ci sono i soldi si fa e non sarà certo la Regione a mettersi di traverso»), Leoluca Orlando bolla il progetto come «anacronistico».