Se Matteo Renzi aveva capito nel 2011 che avrebbe potuto abilmente «scalare» il paese, a Davide Serra è bastato un anno per scalare la Leopolda e non è poco, seguendo il punto di vista del premier che identifica la sua kermesse con l’Italia stessa, «l’Italia siamo noi», diceva Renzi l’altra sera dal palco della ex stazione brulicante come lo scalo di una metropoli. Non che il padrone di casa abbia trovato proprio qui il suo prossimo sfidante, ma il finanziere-sostenitore – quello del fondo Algebris e delle «Cayman», protestava Bersani nello scontro di primarie lontanissime-alla Leopolda fa furore e scintille. Per ammirazione o curiositá che sia (aveva fatto parecchio discutere anche il suo intervento leopoldino del 2013) il tavolo tematico coordinato da Davide Serra, «come finanziare le Pmi», è insomma il più affollato di quelli mattutini, posti in piedi e selva di taccuini e telecamere attorno, applausi degli uditori, interviste a go go. Ci si aspetta che la spari grossa? Lo fa. La sua preoccupazione, nel giorno della manifestazione della Cgil contro il Jobs act, non è solo quella di dire che la riforma del lavoro deve essere più spinta, ma pure che andrebbe «limitato il diritto di sciopero» degli impiegati pubblici. Se Renzi giurava di voler evitare la contrapposizione con la piazza romana, il suo amico Davide deve aver capito male (non solo lui: in platea c’è chi chiama quella del sindacato la «contromanifestazione»).

Imbarazzo. Anche secondo Renzi – si dice – questa Serra se la poteva risparmiare, mentre un milione di persone sfila in corteo, compreso un pezzo di Pd, pezzo del quale in effetti il finanziere si sbarazzerebbe molto volentieri, infatti dice che a questo Pd si iscriverebbe, a quello «di prima» mai. Ma il segretario off shore (nel senso della velocitá, non delle Cayman) fino al Tg3 delle 19 non si sbilancia su Serra e sulla manifestazione, lui oggi è sul palco per presentare gli imprenditori, via… Tocca così a Silvia Fregolent, una del quartetto di parlamentari che conduce l’edizione, ricordare che a Roma c’è una importante iniziativa alla quale rivolgere «un applauso», addirittura, perché «la sinistra si mobilita sia qui che in piazza», e chissà allora che non si cominci a fare i conti con un dissenso che non è solo quello di qualche gufo sfigato.

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Dal premier, invece, che aveva aperto la mattinata con una polemica sottile (per uno che preferisce la sciabola al fioretto) , «qui c’è la testimonianza di persone che hanno creato posti di lavoro», non si ottiene di più finché non chiudono i battenti sulla seconda giornata, alle 18.30. Dal palco, seduto a uno dei due tavoloni di legno, introduce invece gli oratori, il direttore di Vita Bonacina, Cucinelli. Quando non è sulla scena fa qualche puntatina fuori dal privé allestito nel retropalco, abbraccia vecchi amici e si spara decine di selfie, ma protetto dalla security manco fosse il presidente degli Stati uniti, e spiega tra un intervento e l’altro che a palazzo Chigi non intende fare piú di due mandati (come i presidenti degli Stati uniti). A cercare di smorzare la polemica – che in realtà è molto di più – delle «due Italie» (alla Leopolda «c’è un’altra Italia», aveva detto Maria Elena Boschi), Renzi lascia altri e altre, perché a lui forse proprio non gli riesce. Persino Debora Serracchiani, che in tv, collegata via Sky, si trova davanti Rosy Bindi indignata che dice che la Leopolda è «imbarazzante» e che se si fa parlare Serra significa che è cominciata l’era del «post Pd», alla fine prova a ricomporre, ma sì, si litiga poi ci si vuole bene (Bindi non si commuove neanche un po’). Sono ancora Boschi e poi Roberta Pinotti, – arrivate con altri ministri a coordinare i tavoli del pomeriggio, super affollati, con la fila degli iscritti ai quali si vuole dare la sensazione di contribuire a scrivere le idee per «cambiare l’Italia» insieme al governo – a smussare, nessuna contrapposizione, «rispettiamo la piazza, sono contenta che stia andando molto bene», diceva in mattinata la ministra delle riforme. È poi Marianna Madia a occuparsi di Serra e del diritto di sciopero degli statali, «Non aggiungerei altri temi alla riforma della pubblica amministrazione». Capitolo per ora chiuso.

Ma sul Pd a due piazze, sul «verso» di quello renziano, su una distanza comunque vistosa nonostante il bon ton di Boschi & co, tocca a Renzi l’ultima parola e non è esattamente una parola di pace. Certo, «quando ci sono manifestazioni come queste non c’è da dire nulla, ma ascoltare una piazza bella, importante». Sì, «ci confronteremo, ma poi andremo avanti, non è pensabile che una piazza blocchi il paese». E alla Leopolda si parla di cose serie, di «come creare posti di lavoro, che non si creano con le manifestazioni». Un pezzo del Pd era con la Cgil? «Ci sono anime diverse, ma un grande partito ha il dovere di avere opinioni diverse. Io sono stato minoranza e non sono scappato, poi le parti si sono invertite».

Nel pomeriggio alla Leopolda ci si domandava cosa fosse cambiato, dalle prime edizioni della rottamazione, e quelli della prima ora tutti a dire che sicuramente c’è piú gente, di certo più responsabilitá, ma insomma siamo sempre gli stessi. Sicuramente ci sono più camicie bianche, qualche «personaggio» in meno, che fare spot per il governo su un affollatissimo carro non viene facile a tutti. E un po’ di delusione pure tra chi alla fine è venuto anche se era incerto, come Pif, «quando vedo Renzi con Verdini ho i brividi, gliel’ho detto» .