L’oro di Moscovici non cancella l’affondo del Financial Times contro le riforme costituzionali del Pd che spingono verso il nulla. Una logica c’è nella giravolta del foglio della finanza che denuncia in Renzi il vero destabilizzatore. Il capitale adora chi elimina la traccia residua dei nemici di classe. Ma, ancor più, predilige il politico che garantisce un lavoro di semplificazione liberista fatto con destrezza, e cioè nella conservazione di un ordine minimo, senza di cui gli affari languono. Il pasticciaccio di un premier che, in nome della stabilità, produce emergenze continue non è perciò gradito.

Contestando l’asserzione di Carl Schmitt, quella per cui la politica è la ricerca della situazione di eccezione, Luhmann notava che, quando un politico entra, con la sua condotta, in una condizione di emergenza, ha già perso. La politica è, infatti, una costruzione positiva che serve per evitare di scivolare nelle zone estreme che sfuggono al controllo della norma. E quando un politico, per un mero calcolo di potenza, determina la fase di emergenza ha sospeso il carattere più significativo della direzione statale, che è la rimozione dei rischi dell’incertezza.
Renzi ha fatto il contrario del politico responsabile. Con il plebiscito ha scelto la strada dell’emergenza che sospende la Carta come un bene condiviso e fattore di consolidamento democratico. È chiaro che, puntando verso l’eccezione di una investitura tramite la forza d’urto del plebiscito, egli espone il sistema ai rischi della de-costituzionalizzazione che indebolisce alla radice le capacità di funzionamento del potere.

Se vince lo scontro contro i gufi o chi coltiva odio per la «poltroncina mancata» – dimenticando l’invito di Machiavelli al politico prudente di astenersi «dall’obbrobrio delle parole» rivolte al «nimico» – Renzi avrà rinsaldato le sue ambizioni personali di potere. Al prezzo, però, di una lacerazione delle istituzioni destinata a lasciare ferite nell’ordinamento e quindi nella reale capacità di decisione.

Se dalla contesa esce sconfitto, ha comunque sospinto la repubblica in una prova infuocata che, anche per i fogli della finanza, non pare giustificata dagli effettivi benefici del disegno di manipolazione costituzionale.

Il calcolo dei costi e benefici che, a partire da Machiavelli, è il corredo di un politico realista, avrebbe dovuto suggerire a Renzi di evitare di perseguire il disegno personale di supremazia imboccando le vie della sfida alla legalità che rovina gli ordini repubblicani e rende precarie le basi costituzionali della convivenza.
In caso di successo del sì, Renzi ottiene il consolidamento della propria ambizione di potere ma la paga con la disintegrazione di ciò che rimane del suo partito, con le macerie della costituzione, che perde ogni normatività se diventa manifestazione di una volontà di potenza personale. Con una vittoria del no, verrebbe interrotta la carriera politica del premier e però la Carta sarebbe di nuovo salva, schivando le prove di eversione plebiscitaria di un leader di minoranza.

Un politico che porta in una condizione di emergenza, su questioni non dirimenti come il senato dei dopolavoristi, ha comunque perso perché, per esperimenti di arroganza, ha infranto le fondamenta di un condiviso patriottismo costituzionale.

E i poteri forti, che pure celebrano la furia rottamatrice quando piega i sindacati, poi si irrigidiscono sino al disincanto quando il loro governo dei sogni diventa un arnese di produzione di incertezza.

Il capitale apprezza chi fa pulizia delle ultime resistenze al dominio della merce come paradigma di ogni rapporto sociale, ma poi non accetta che il leader combini troppi guai tramutando il disordine in condizione normale.

Dopo aver cantato le lodi del corpo del leader energico, adesso si aspettano ragionevolezza e non vocazione alla emergenza. Ma, purtroppo per i poteri forti e i burocrati di Bruxelles dispensatori di oro per frenare la sfida dei populisti (cioè quasi tutti gli ex presidenti della Consulta, la Cgil, i più autorevoli costituzionalisti, alcuni ex premier), Renzi è come la maschera di Fedro. Non ha cervello (politico).