Se la cantano e se la ridono. Si concedono ai selfie degli operai, qualche foto gliela scatta perfino John Elkann. Matteo e Sergio girano la Sata di Melfi su Jeep Renagade rossa: guida Marchionne, Renzi fa da spalla. Poco dopo i ruoli della coppia si ribaltano: il premier fa il suo comizio elettorale – dimentico del precedente negativo di Mario Monti che nel 2013 fece lo stesso e fu sonoramente bocciato dalle urne – e l’ad di Fca lo spalleggia subito dopo, beatificando riforme e decisionismo del presidente del consiglio. E il Jobs act che però, a tre mesi dalla sua introduzione, Fca ancora non applica, lasciando tutti i suoi 1.500 nuovi assunti ancora in somministrazione e non col «tutele crecenti».

Per prima cosa arriva l’attacco a Landini e alla Fiom, che a Melfi come in tutte le fabbriche Fca è ancora a sovranità limitata, nonostante la sentenza della Corte costituzionale. «Per difendere il lavoro non si va ai talk show il martedì sera a fare grandi slogan ideologici, per difendere il lavoro si creano le fabbriche». Il discorso si allarga al Jobs act: «L’Italia deve ripartire e noi andremo avanti, insieme a chi ci crede, perché il lavoro in Italia torni ad essere un diritto». Che detto da uno che i diritti li ha cancellati, è una frase al limite del grottesco.

«Bisogna essere orgogliosi, siate orgogliosi – ha detto Renzi ai lavoratori – perché qui si fanno le jeep che vanno in America. Dobbiamo fare in modo che l’industria automobilistica italiana sia la più forte nel mondo», si fa prendere la mano.

La chiusura è sulle prospettive dei Fca: «Aspettiamo buone notizie per Cassino, io non vedo l’ora di potermi comprare un’Alfa Romeo» – «l’unica frase del premier che condiviso», commenta Susanna Camsusso – auspica Renzi.

Tocca poi a Marchionne magnificare l’epoca delle riforme portata avanti dal premier fiorentino. «Lui sta sbloccando un sistema ingessato da anni. Gli errori li fanno tutto – concede – ma l’importante è andare avanti». L’ad Fca poi raccoglie l’assist fatto dal premier sul sindacato unico. E gongola: «In tutti i sistemi del mondo, lo vedi in Germania, lo vedi in Usa, e non mi pare che siano regimi», esagera Marchionne («Non c’è un sindacato unico in Germania», lo bacchetta subito Susanna Camusso, chiedendogli «che ne pensa della co-determinazione?», fondamento del modello teutonico).

Il futuro compito di Marchionne è quello di inventarsi una fusione con chiunque ci stia. Dopo i “No” di Gm e Volkswagen, l’ultima voce è quella di Opel.Una fusione con un altro big dell’auto globale Marchionne la promette: «Sono certo che questo accadrà, me lo dice l’istinto».

Sviolinate al governo a parte, Marchionne non ha nemmeno annunciato la stabilizzazione col contratto a tutele crescenti dei 1.500 giovani lavoratori in somministrazione. Che quindi rimangono appesi alle promesse e quanto scritto negli accordi: stabilizzazione entro fine luglio di almeno mille operai», lasciandone fuori – almeno formalmente – almeno 500. Marchionne ha annunciato invece mille assunzioni nell’indotto: «molto probabilmente entro la fine dell’anno ci saranno altre mille assunzioni nel comprensorio di Melfi, portando il totale a 12mila persone». Un calcolo assai strano, anche perché queste assunzioni non sarebbero fatte da Fca ma dalle aziende che producono componenti e forniscono servizi per lei. Una frase che quindi rilancia il rischio che anche le stabilizzazioni dei 1.000 operai saranno fatte tramite le agenzie interinali.

Parole che provocano la reazione perfino di Carmelo Barbagallo, leader di quella Uil che ha sottoscritto tutti i contratti. «Il metodo di Marchionne sul sindacato unico non ci trova d’accordo, anzi, lo avverseremo perché so che lui pensa a un sindacato paternalistico».

La sintesi migliore della giornata la fa Giorgio Airaudo, parlamentare di Sel che due anni fa fuori dei cancelli di Melfi a contestare la coppia Marchionne-Monti. «I nostri presidenti del consiglio si pongono verso la nuova “Fiat dei 2 mondi” più come dei Fracchia che come dei Napoleone. Ringraziano Marchionne ma si dimenticano dei lavoratori. Che con i loro sacrifici, licenziamenti, chiusure di stabilimenti, milioni di ore di cassa integrazione, salari ridotti, peggioramento delle condizioni e riduzione delle libertà individuali, hanno atteso la ripresa degli stabilimenti».