Prima il bastone, poi la carota. Prima l’esclusione di Messina, tredicesima città d’Italia, dai sette miliardi di fondi previsti dal Masterplan per il sud per le città metropolitane, poi l’annuncio a sensazione: «Il ponte si farà».

In due giorni, il governo guidato da Matteo Renzi fa e disfa, esclude e premia, illude ed esalta. E nel frattempo, dichiara lo stato d’emergenza (a due settimane esatte dall’inizio dell’emergenza) per Messina, che da sabato 24 ottobre vive una crisi idrica ai limiti dell’incredibile. Che, ancora oggi, non si sa come risolvere.

Due settimane fa, una frana a Calatabiano, paesotto in provinciadi Catania distante 50 km da Messina, trancia in due l’acquedotto Fiumefreddo, che rifornisce la città dello Stretto di mille litri d’acqua al secondo. La condotta si ripara (dopo tre giorni), ma il pendio continua a franare, quindi l’erogazione si ferma. Panico tra le istituzioni, Prefettura e Comune si fanno la guerra, la città piomba in un incubo dal sapore di secolo scorso. Mentre la cittadinanza si adopera coi bidoni e le autocisterne che arrivano dalla protezione civile, in qualche modo la condotta si riesce a rimettere in funzione: è passata già una settimana di rubinetti a secco. Il rattoppo dura meno di ventiquattrore, poi la montagna, che continua a scendere a valle, ha la meglio. Il piano B? Un bypass per usufruire dell’acqua di un secondo acquedotto, quello dell’Alcantara, costruito negli anni ’70 dal comune di Messina ma gestito da Siciliacque, partcipata dalla Regione con azionista di maggioranza la multinazionale francese Veolia. I tecnici avvertono subito: la portata sarà di molto inferiore all’abituale. E siccome, dopo dieci giorni, poco è infinitamente meglio di niente, si procede. Dall’Amam, la municipalizzata che si occupa di acqua, vengono diramate le tabelle di distribuzione idrica. Manco a dirlo, sono immediatamente disattese: la portata ridotta non riesce a mettere in carico i serbatoi, e chi abita ai piani alti di acqua continuerà a non vederne. Nel frattempo la sorte si accanisce, e anche il bypass si spezza, sottoposto a carico eccessivo nel tentativo di incrementarne la portata. E’ a questo punto, 15 giorni dopo, che scende in campo il governo.

Due milioni per provvedere ai primi interventi utilizzando il Fondo di riserva per le spese impreviste. Firmato Matteo Renzi. Ci sono volute due settimane, ma alla fine il governo si è mosso con la dichiarazione di stato d’emergenza, anche se l’esercito è già in azione da una settimana tramite le autobotti del reggimento Aosta (di stanza a Messina) e con la mobilitazione del Genio militare che parteciperà alle operazioni di movimento terra necessarie alla riparazione definitiva di montagna e condotta.
Il decreto concede poteri speciali, e tutte le deroghe necessarie, alla protezione civile, il cui dirigente nazionale Fabrizio Curcio è già arrivato a Messina a metà settimana per uno dei tanti tavoli tecnici che si sono tenuti. Nel tentativo di recuperare l’esclusione di Messina dai fondi per il Mezzogiorno, Matteo Renzi ha tirato fuori l’asso nella manica di tutti i presidenti del consiglio degli ultimi trentacinque anni, escluso forse Mario Monti: il ponte sullo Stretto. «Certo che si farà», ha dichiarato il premier, evitando di spiegare come, dato che il miliardo e rotti (sui nove che occorrerebbero) del capitolo di spesa destinato al ponte è stato definanziato da anni, e che i privati sui quali il business plan faceva tanto affidamento, appena sentono parlare di ponte iniziano a ridere.

In realtà Renzi, le cui dichiarazioni sono state rilasciate a Bruno Vespa in un’intervista per il nuovo libro del presentatore, l’ipotetica realizzazione del ponte la subordina alla risoluzione del problema idrico, ma anche di «depuratori e bonifiche», restando sul vago su tempi e modi.

Nel frattempo, a Messina non si sa più che pesci pigliare. Falliti tutti i piani operativi per portare in città l’acqua necessaria, si inizia a pensare ad operazioni più drastiche. Che sulla montagna su Calatabiano non è più il caso di fare esperimenti, l’Amam se ne è accorta dopo i due tentativi di riparare la condotta. E quindi l’idea, che entro domenica dovrà diventare progetto depositato sulla scrivania del Prefetto, è quello di una tratto di condotta, lunga circa un km, che «scavalchi» il paesino e si riconnetta alla principale in un tratto di pendio meno impervio. Ad occuparsene, dovrebbe essere una ditta di Brescia, che impiegherebbe tubi in materiale plastico di fabbricazione tedesca. Tempi? Due settimane, nella più rosea delle ipotesi. Nel frattempo, in fila coi bidoni.