Noi in ginocchio dai vertici europei per mendicare sconti? Ma per chi ci avete presi? Non solo navigheremo come promesso sotto la soglia del maledettissimo 3%, ma lo faremo senza toccare un euro a nessuno. Senza tasse. Senza tagli. Più o meno per magia. La replica di palazzo Chigi alle voci su una trattativa in corso con Draghi, Juncker e Barroso per rallentare la tabella di marcia del “risanamento dei conti” è anonima, affidata alle solite “voci”, ma stentorea: «Non esiste alcuna trattativa, né pubblica né segreta. L’Italia farà la sua parte rispettando il vincolo del 3%, e lo farà senza aumentare le tasse».

La smentita era d’obbligo. La trattativa, in atto o anche solo auspicata, può avere corso solo se protetta dal rigoroso segreto, infranto domenica da due quotidiani italiani. In caso contrario non solo il veto tedesco sarebbe garantito, ma la figura del governo sarebbe devastante e a queste cose Matteo Renzi ci sta attento. Il ministro dell’Economia Padoan, che quanto a propaganda gli mancano le basi, un po’ di meno. Capita che si lasci sfuggire qualche inquietante ammissione, come quella secondo cui prima di un paio d’anni da queste parti non si vedrà la luce, andando in effetti le cose ben peggio del previsto. Ma il capo, lui è di un’altra pasta. Quella del “negare sempre, anche di fronte all’evidenza”. Difficoltà? Obiettivi falliti? Macché: qui tutto va alla grande.

Più che a come fronteggiare il micidiale autunno, i vertici del governo sembrano in effetti preoccupati dal come parare il colpo in termini di popolarità e lesione d’immagine. La via d’uscita pare a portata di mano: è utile sul fronte della propaganda ma forse anche su quello delle prospettive concrete: «Non esiste un problema Italia, ma un problema dell’Eurozona, che l’Italia aiuterà ad affrontare». In privato, dalla Versilia, chi ha sentito Renzi assicura che il suo ottimismo fa il paio con quello delle “voci”: «Abbiamo sempre detto che l’Europa non è solo spread e Maastricht. Ora è il momento di dimostrarlo».

Nelle sue più rosee fantasie, l’ottimistissimo Renzi vagheggia orizzonti di gloria. Se davvero si riuscisse a non varcare la dannata soglia senza dover vampirizzare i già esangui connazionali, allora sì che si potrebbe intavolare una trattativa come si deve, con sul tavolo non una carità concessa digrignando i denti, ma la ridiscussione di tutto. A partire da quel fiscal compact che pende sul capo della penisola come una mannaia per il 2015. In fondo, almeno sulla carta 16 miliardi già ci sono, e il resto ci sarà pur modo di trovarlo senza tassare.

Purtroppo l’esperienza insegna che quando dalla carta si passa alla carta moneta i conti non tornano mai, e dunque quei 16 miliardi al momento sono tutti virtuali. In più il cammino delle misure aggiuntive non si prospetta per nulla facile. Il problema, va da sé, non sono le opposizioni reali, Sel che taccia di «grottesca» l’anonima smentita. Salvini che invita Renzi a mandare l’Europa dove sa lui, il M5S che affila le armi. Il problema è Forza Italia, che della maggioranza è invece di fatto parte integrante.
Appena ha iniziato a circolare l’ipotesi di un taglio a quelle che il ministro del lavoro Giuliano Poletti definisce «pensioni ricche», la prima a scatenare l’offensiva è stata proprio Fi, con i malcontenti in testa ma trascinando poi tutto il partito, da Renata Polverini, fittiana, a Maurizio Gasparri, lealista di professione. E con loro tutta la sinistra, dalla Cgil a cospicui spezzoni del Pd, tanto da costringere il viceministro Enrico Morando a smentire un’ipotesi sulla quale è universalmente noto che il ministero dell’Economia sta invece lavorando.

L’affondo azzurro si spiega facilmente. Il partito di Arcore sta giocando una sua specifica partita, con l’obiettivo di costringere Renzi ad accettare il suo tutt’altro che a buon mercato aiuto. In autunno i forzisti vogliono entrare a vele spiegate nella maggioranza. Il passo successivo e conseguente sarebbe la richiesta di qualche ministero, in nome di una emergenziale “unità nazionale” contro l’ennesima puntata dell’infinita crisi. Per evitare un passo che gli costerebbe caro in termini di voti, Renzi deve passare le forche caudine dell’autunno. Ovvio che Fi, se da un lato gli garantisce appoggio, dall’altro fa il possibile per impedirgli di cavarsela senza ricorrere a un esplicito “soccorso azzurro”. Matteoli, in proposito, è papale: «Nel rispetto dei ruoli di maggioranza e opposizione Fi è pronta a dare un contributo. Ma prima Renzi batta un colpo. L’Italia non può più attendere». Chiaro, no?