Ci siamo. Matteo Renzi ha svelato i programmi del governo sull’articolo 18, finora coperti da dichiarazioni vaghe o contraddittorie sul Jobs Act. Un’altalena che dura da mesi, sul cosiddetto «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti»: una volta pare predominare la “versione Ichino” (dopo i 3 anni non si matura l’articolo 18 pieno, con la reintegra, ma si ha diritto solo a un indennizzo economico) e un’altra quella di Boeri-Garibaldi (il percorso si conclude con un 18 completo). Il presidente del consiglio propende per la prima ipotesi, che cancella l’articolo 18 così come lo conosciamo, per sempre e per tutti: e lo ha rivelato ieri nella “tana del lupo”, in un’intervista al direttore del Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria.

Ecco le parole di Renzi, precedute dalla domanda del direttore Roberto Napoletano (l’intervista era ieri in apertura del giornale, e occupava le intere pagine 2 e 3). Domanda: «Contratto a tempo indeterminato flessibile vuol dire anche superamento dell’articolo 18 e della reintegra obbligatoria?». La risposta del premier: «Quella è la direzione di marcia, mi sembra ovvio. Sarà possibile solo se si cambierà il sistema di tutele».

Se il termine «superamento» vuol dire tutto e niente, e non avrebbe in sé caratterizzato la domanda, è invece assolutamente indicativa l’espressione «reintegra obbligatoria», che rappresenta il “cuore” dell’articolo 18. A meno di una cattiva trascrizione del direttore del Sole 24 Ore (ma lì Renzi dovrebbe pretendere una qualche rettifica), le intenzioni del governo sembrano insomma chiare.

Senza stare ad appendersi alle singole dichiarazioni (che come insegna la neonata «annuncite» possono essere smentite dai fatti), emerge però chiaramente che l’attuale esecutivo minaccia molto pesantemente la tutela contro i licenziamenti indiscriminati: spinto dalla pressione dell’Ncd – certo – ma sostenuto anche da una grossa fetta di “renziani” a cui questa garanzia non sta a cuore. Diversamente la vede il campo “bersaniano” – più vicino alla Cgil – ma sappiamo quanto facilmente esso possa venire zittito dai timonieri del partito.

Lo stesso premier nelle ultime settimane ha ripetuto che «l’articolo 18 non è il vero problema», e lunedì scorso aveva aggiunto che riguarda «solo 3000 persone» in Italia, quasi a fare intendere che non sarebbe stato toccato (a parte il metterlo alla fine del nuovo contratto triennale, accettato ormai anche dai più “riottosi”, come la Cgil e la Fiom). E lo stesso ministro del Lavoro Giuliano Poletti, poco dopo Ferragosto, aveva fatto capire che sì, l’intero Statuto dei lavoratori sarebbe stato riscritto (come dice anche Renzi), ma senza andare a modificare in modo traumatico la “tutela delle tutele”.

Ieri, invece, una bella doccia fredda, un Ice Bucket Challenge rovesciato sulla testa di Susanna Camusso. Che infatti ha reagito, intervistata dall’Unità on line: «Non è vero che riguarda 3 mila persone – ha detto la segretaria della Cgil – Questo è un modo di sminuire. Quell’articolo riguarda i diritti fondamentali dei cittadini, e dei lavoratori, diritti che non possono essere soppressi». La leader sindacale invita quindi Renzi ad «abbandonare gli slogan», e a prendere «dal modello tedesco gli elementi che migliorano le condizioni dei lavoratori, e non quello che precarizza».

Durissima anche la reazione del segretario della Fiom Maurizio Landini, che annuncia un autunno rovente: se il governo pensa di cancellare l’articolo 18, «si aprirà un conflitto molto pesante non solo con la Fiom ma con tutti i lavoratori». «Come dicono a Napoli, accà nisciuno è fesso», ha poi aggiunto.

Intanto oggi proprio il Jobs Act approda in Senato, nella Commissione Lavoro presieduta da Maurizio Sacconi, che da anni vorrebbe abolirlo. Ieri Sacconi ha chiesto una «delega al governo ampia e senza inibizioni, tale da consentire di riformare le tutele».

Tenta di frenarlo Cesare Damiano (Pd), presidente della Commissione Lavoro della Camera: «Servono obiettivi selezionati, deleghe in bianco non sarebbero possibili. C’è una proposta di legge del Pd presentata già nella passata legislatura: periodo di prova non superiore a tre anni, minor costo rispetto a tutti gli altri contratti, e maturazione alla fine dell’articolo 18».