Una rete del terrore pronta a colpire con armi e uomini: è l’organizzazione fondamentalista islamica con base in Sardegna, sgominata ieri dopo un’indagine curata da Direzione Distrettuale Antimafia e Digos. Gli arresti sono 9 e 11 sono le ordinanze di custodia cautelare emesse in tutta Italia: i 20 uomini pakistani e afghani facevano parte di un network collegato ad Al Qaeda che avrebbe avuto contatti anche con Bin Laden.

Ieri mattina i primi arresti in Sardegna, a Olbia: in manette Khan Sultan Wali, Khan Imitias e Muhammad Siddique. Il primo, 38 anni, commerciante e titolare del negozio «Mondo Bazar», era il capo della comunità islamica a Olbia e considerato elemento di spicco della cellula terroristica. È stato fermato prima di imbarcarsi per Civitavecchia. Da lì forse avrebbe raggiunto il Pakistan dove si trovava anche il 28 ottobre 2009, quando un’autobomba causò oltre 100 morti e decine di feriti nella piazza del mercato di Peshawar: Wali sarebbe stato coinvolto nell’organizzazione della strage, messa a punto per colpire il governo pakistano «colpevole» di combattere Al Qaeda.

Oltre a Wali, Imitias e Siddique sono finiti in carcere Mir Niaz, arrestato a Roma, Khan Ridi Yahhya, fermato a Foggia, Zaher Ul Haq, a Sora in provincia di Frosinone, Zulkifal Hafiz Muhammad, imam a Bergamo e uomo chiave nell’organizzazione insieme a Wali; a Civitanova Marche (Macerata) gli arresti di Shan Zubair e Ghani Sher: sono tutti accusati, a vario titolo, di strage, associazione a delinquere con finalità di terrorismo, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti volti a favorire l’illegale ingresso, soggiorno e permanenza in Italia. I dettagli dell’operazione sono stati chiariti ieri mattina a Cagliari dal procuratore Mauro Mura: l’indagine è partita nell’agosto 2005 proprio dai sospetti su Khan Sultan Wali, bloccato al porto di Olbia perché positivo ai test anti-esplosivo. Da qui e fino al 2012, diverse perquisizioni e intercettazioni telefoniche hanno fatto conoscere la rete e portato agli arresti di ieri.

I finanziamenti per l’organizzazione arrivavano da afghani e pakistani fatti entrare illegalmente nella penisola, grazie a documenti falsi e a imprenditori che fornivano finti contratti di lavoro; ai migranti veniva chiesto in cambio un importo tra 6 e 7.000 euro. I terroristi raccoglievano anche collette per presunte operazioni umanitarie. Il denaro, quantificato dal procuratore Mura in diversi milioni di euro, partiva poi verso il Pakistan dove finanziava tre cellule definite «cugine di Al Qaeda». Secondo gli inquirenti le famiglie degli arrestati avevano avuto anche rapporti con Osama Bin Laden.

Le indagini hanno portato alla luce un altro dettaglio: nel marzo 2010 giunse in Italia un kamikaze, inviato dall’organizzazione per compiere un attentato «a Roma e in un luogo affollato», come emerge dalle intercettazioni. L’obiettivo sarebbe stato un attacco terroristico proprio in Vaticano, guidato allora da papa Ratzinger: «Non c’è la prova, ma un forte sospetto», ha dichiarato Mario Carta della digos di Sassari. Il portavoce pontificio Federico Lombardi ha sminuito il pericolo e definito l’ipotesi «Senza seguito e non rilevante», mentre il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin ha commentato che «Il papa è molto tranquillo, basta vedere come incontra le persone con grande lucidità e serenità»