«Accetto umilmente l’onorificenza» dice in perfetto italiano con lieve accento inglese statunitense una grande Signora del cinema americano, Frances McDormand, per dire a modo suo, con classe, grazie per averle assegnato il Visionary Talent Award 2014. Volto luminoso, capello corto dal taglio sbarazzino, l’attrice premio Oscar 1997 (in Fargo a firma del marito Joel Coen) torna subito dopo a essere se stessa, raggiante cinquantasettenne, che nella parte di Olive ha trovato il ruolo della sua vita. Stiamo parlando del film in quattro parti Olive diretto da Lisa Cholodenko, presentato fuori concorso.

«Tutti i personaggi che ho finora interpretato, tra cinema, teatro e televisione, erano finalizzati a confluire in questa donna che fa da filo conduttore nei racconti uniti nel romanzo a lei intitolato, Olive Kitteridge, inventati da Elizabeth Strout», precisa l’attrice, affermando con orgoglio che lei, per tutta la vita, in fondo, non è stata altro «che una casalinga che fa l’attrice», dove è la prima a suggerire alla seconda gli input creativi avendo «girato in lungo e in largo per il pianeta, organizzando l’esistenza quotidiana per figlio e marito».

Frances – che abbiamo visto in sei dei film girati dai fratelli Coen, a partire dal primo Blood Simple (1984), si è talmente riconosciuta in Olive da acquisire i diritti cinematografici per il libro del Premio Pulitzer per la narrativa 2008 (la troviamo tra i produttori esecutivi assieme a Tom Hanks).

Al centro dei quattordici racconti brevi uniti in forma di romanzo, a dire il vero, in primo piano sono le vicende intorno a una comunità più che la vita della donna. Olive prende decisamente spazio nella sceneggiatura della miniserie prodotta da HBO, dove vengono illustrati vari aspetti della sua vita: il matrimonio, la relazione madre figlio, amicizie e vicini di casa, nella migliore tradizione degli anni sessanta e primi anni settanta. «Olive, al contrario delle donne ritratte nei cosiddetti women movies – prosegue Mc Dormand – è una donna forte, certo, ma non nasconde le sue fragilità. Piange, apre la propria anima a coloro che condividono spazio e tempo di vita con lei. Un personaggio che ha sorpreso anche me. In Olive non c’è nulla di artificioso, e man mano che la interpretavo mi sono lasciata sorprendere via via da reazioni inaspettate…».

Il libro parla di «cultura nella cultura», siamo nel New England, fa freddo, è il regno delle buone maniere: «non si bada tanto al sesso dell’individuo, maschio o femmina non importa», sottolinea la regista. È estrema la cura nei dettagli; Lisa Cholodenko ha usato un linguaggio visivo iperrealista nello stile dei quadri di Edward Hopper. «Sono i veri pionieri americani», aggiunge Frances e ricorda alcuni elementi narrativi, come ad esempio il suicidio del padre. Tasselli che si aggiungono alla costruzione del plot narrativo e che alla fine generano questa personalità femminile «integra e integrata, ma sempre combattiva».

«È un film sul matrimonio!», esclama poi girandosi verso Richard Jenkins (il marito nella finzione cinematografica), come per chiedere conferma prima di affermare che in 35 anni di sodalizio con Joel Coen ha imparato a essere comprensiva. «Per entrare nell’universo di Olive abbiamo fatto tre settimane di prove, leggendo e rileggendo il copione per realizzare a un certo punto di ’essere… sposati’…» dice ancora Jenkins e Frances conferma che quella sensazione era nata anche dal confronto continuo con lo scenografo. Un incontro stampa corale, questo, dove tutti convengono che Olive (in Italia nel gennaio 2015 su Sky Cinema) di fatto è «una, centomila» per dirla con Pirandello: «in lei troverete anchevostra madre che sta pagando per tutto ciò che ha sbagliato nella sua vita».