Alla fine anche il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) è costretto a scrivere che la crisi greca condizionerà la crescita italiana e la sostenibilità dei conti pubblici. E, fatto singolare, lo fa nello stesso testo che esalta le «riforme» governative come il Jobs Act.

La rilevanza del rapporto del Fmi pretenderebbe almeno che Matteo Renzi parli sui risultati del referendum in Grecia, li metta davvero al centro dell’iniziativa in Italia e in Europa. ma finora, oltre un elenco di indicazioni per supportare il ministro Padoan nell’opera di nascondimento dei problemi strutturali del belpaese, ci si è limitati ad esaltare dal Cern una svolta «dell’Europa nella scienza». E ieri inaspettatamente, nel segno del disprezzo pronunciato da jean Claude Juncker all’Europarlamento, ha sfottuto la centralità evidente della crisi greca chiedendo di farla finita con «questo Truman show».

Il rapporto presentato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) sullo stato dell’economia nazionale, redatto il 16 giugno, cioè prima che precipitasse la crisi greca – ma già era più che esplosa – sottolinea la marginalità dell’economia nazionale. Renzi e Padoan hanno sempre detto che l’economia italiana sarebbe al riparo dall’implosione delle trattative europee sulla Grecia, ma hanno mentito fin dall’inizio.
Infatti, i funzionari (esperti?) del Fmi citano la crisi della nazione ellenica tra i rischi al ribasso per l’Italia, con una preoccupazione circa le implicazioni di lungo termine se la percezione dell’irreversibilità dell’area euro dovesse cambiare permanentemente.

Ma il rapporto degli esperti del Fondo monetario internazionale è ancora più duro quando ri-ripete che la ripresa è ancora fragile. Le stime di crescita non si schiodano da quelle note, 0,7% per il 2015 e 1,2% per il 2016, e ribadisce che sono le più deboli tra tutti i paesi dell’area euro, al netto della Grecia.

Sono richiamate le solite riforme, ma questa volta utilizza un termine più ambiguo. Richiama generici problemi di medio termine, e utilizza il termine colli di bottiglia. Se le riforme su Jobs Act, Fisco e Pubblica Amministrazione sono riforme coraggiose, allora i colli di bottiglia sono imputabili ad altri problemi e sono, purtroppo, molto più seri. Il continuo richiamo all’alta disoccupazione e all’alto rapporto debito-PIL, probabilmente, sotto-intende un problema di struttura che le politiche richiamate solo a margine possono risolvere.

Si richiama la necessità di privatizzare, di alleggerire il bilancio pubblico e il carico fiscale sul lavoro, ed altre misure simili, ma il Fmi sa benissimo che più di tanto non si può fare. L’Italia è il paese che più di altri ha pedissequamente seguito i dettami della Troika, con avanzi primari e riduzione della spesa pubblica che non ha eguali nei paesi europei.

Il problema dell’Italia è la crescita economica, e se abbiamo fatto tutte le riforme suggerite, perché non si manifesta e rimane lontana dalla media degli altri paesi?

Rimane la riforma di struttura più importante, anche se il Fmi non lo dirà mai: quella della struttura produttiva che produce beni e servizi a basso valore aggiunto, interamente piegata alla concorrenza di costo.

Il Quantitative Easing non è servito molto alla crescita, e con la crisi greca potrebbe cambiare persino la sua natura-obiettivo. Rimane l’imbarazzo del primo ministro Renzi e del ministro dell’Economia Padoan quando sostenevano che la crisi greca non colpirà l’Italia più di tanto perché abbiamo fatto le riforme che il mercato chiedeva.

Se almeno imparassimo a non mentire sarebbe una bella rivoluzione. Adesso abbiamo la consapevolezza che la crisi greca colpirà tutte le economie europee e perseverando nell’impostazione del pareggio di bilancio, non ci sono ragioni per credere il contrario, dobbiamo aspettarci una bella manovra aggiuntiva rispetto a quella già preventivata.