Cinquecento milioni di risparmi all’anno da destinare al fondo per le povertà. È l’ultima trovata del presidente del Consiglio per spingere il Sì al referendum costituzionale di… probabilmente fine novembre (il consiglio dei ministri che si è tenuto ieri si è ben guardato da fissare la data; avrebbe potuto ancora scegliere il 2 ottobre, da principio indicato proprio da Renzi come il giorno ideale). I cinquecento milioni di risparmi annuali, nelle parole di Renzi, deriverebbero tutti dal nuovo assetto bicamerale introdotto dalla riforma. Dunque tagli ai «costi della politica» da spostare sul sociale. Cosa può esserci di meglio? Il movimento 5 stelle non ci crede, e parla di «populismo sulla pelle di dieci milioni di poveri», il solito Brunetta cerca di mantenere Forza Italia all’opposizione e parla di «gioco di prestigio del premier», anche un esponente della minoranza Pd come il senatore Fornaro denuncia il «populismo di bassa lega» del segretario del partito.
Il deputato di Sinistra italiana Fratoianni, invece, sostiene che 500 milioni sono pochi: «Renzi dovrebbe capire che in questo paese non basta l’elemosina, servono diritti e piani efficaci di sviluppo e di promozione del lavoro». Ed ha senz’altro ragione, ma il punto è: ci sono (o meglio, ci saranno) davvero questi 500 milioni di risparmi? Prima di fare i conti, notiamo che la previsione di Renzi si è già dimezzata. Era stato lui, in più occasioni, ad annunciare che la riforma costituzionale avrebbe comportato economie per un miliardo. L’ha detto anche in televisione, almeno due volte: intervistato da Mentana su La7 e a Sky tg 24. Ma prima di tutto l’aveva scritto nel suo programma delle elezioni primarie, con le quali ha cominciato la scalata prima al Pd e subito dopo al governo. Un miliardo di «dieta alla politica» da destinare, diceva allora, «alla difesa del suolo» e «al fondo per la non autosufficienza». Adesso, coerentemente con il passaggio nelle previsioni da un miliardo a 500 milioni, gli obiettivi si sono dimezzati. E tutto andrebbe «alla povertà».

Resta da vedere come si ottiene la previsione di 500 milioni. In questo caso la fonte migliore non è Renzi, ma la ministra per le riforme Maria Elena Boschi. Che sull’argomento ha dovuto rispondere a un’interrogazione parlamentare di Sinistra italiana, dunque ha dovuto fare qualche cifra. Prima di lei, l’unico documento ufficiale era una nota della Ragioneria generale dello Stato (organo del ministero dell’economia) del 28 ottobre 2014 trasmessa proprio da Boschi alla prima commissione della camera. La nota fissava i risparmi alla ben più modesta cifra di 67,7 milioni, così ripartiti: 9 milioni dalla riduzione dei senatori, 40 milioni dall’abolizione della loro indennità, 18,7 milioni dall’abolizione del Cnel. Partendo da lì, l’8 giugno di quest’anno di fronte ai deputati Boschi ha allargato le previsioni fino ai famosi 500 milioni. O quasi, si è fermata a 489.
Questi i calcoli della ministra. Risparmio per lo stipendio dei senatori: 42 milioni. Risparmio per i mancati rimborsi ai senatori: 37 milioni. Risparmio per i trasferimenti ai gruppi e le spese delle commissioni: 70 milioni. Risparmio per l’abolizione del Cnel: 20 milioni. Totale 169 milioni. Ai quali aggiungere 320 milioni di risparmi dall’abolizione delle province, che dunque farebbero la parte del leone in questa storia, altro che senato. Si deve però notare che la legge di revisione costituzionale di cui stiamo parlando, e che sarà sottoposta a referendum, si limita a mettere il sigillo formale (cancellando la parola «province» dall’articolo 114 della Costituzione) a un’abolizione già decisa con la legge Delrio del 2014. La quale non risulta aver prodotto risparmi sul versante del personale – i dipendenti sono stati reimpiegati in altre amministrazioni – ma solo su quello assai più esiguo delle indennità dei presidenti e consiglieri provinciali. Cancellate, sì, ma già da due anni.

Dunque i nuovi risparmi dovrebbero correttamente fermarsi ai 169 milioni indicati da Boschi per il senato. Ma anche questi risultano calcolati un po’ troppo generosamente, dal momento che i rimborsi ai senatori non potranno essere aboliti del tutto, e neanche i costi delle commissioni, visto che sia pure come «dopolavoro» per consiglieri regionali e sindaci, il senato continuerà a funzionare. Infine, il senatore di Forza Italia Malan ha sottratto ai risparmi previsti la quota di Irpef che lo stato non riceverà più dai senatori senza stipendio. E ha ricalcolato le economie totali in soli 50 milioni. Un decimo dei 500 milioni di cui parla Renzi.