Prima gli hanno spiegato che non poteva decidere lui, che avrebbe deciso tutto la presidente della commissione affari costituzionali Anna Finocchiaro non ammettendo emendamenti all’articolo 2 del disegno di legge Renzi-Boschi e così chiudendo in commissione e per sempre la faccenda del ritorno (ma meglio sarebbe dire il mantenimento, come da Costituzione) dell’elezione diretta dei senatori. Poi hanno scritto che non era così, che al contrario Piero Grasso aveva già deciso tutto: riaprirà la discussione sull’articolo 2 della riforma costituzionale e così manderà all’aria, o tenterà, la grande impresa di Matteo Renzi. Perché – anche se sembra un dettaglio – il governo al momento non ha i voti sufficienti per abolire il suffragio popolare diretto e affidare la scelta dei nuovi senatori ai consiglieri regionali.
Il presidente del senato Grasso deve aver ben compreso la portata di questi suggerimenti, letti quest’estate prima sul Corriere della Sera poi sulla Repubblica. A questo punto gli sarà chiaro che, se non deciderà come il governo vuole, può aspettarsi una vita politica difficile. E probabilmente ricorda quanto accaduto alla collega dell’altro ramo del parlamento, Laura Boldrini, quando dissentì dall’intenzione del governo di risolvere la riforma Rai con un decreto. Il circolo renziano si scatenò in attacchi e avvertimenti alla presidente. Eppure entrambi, sia Boldrini che Grasso, non hanno negato cortesie al governo, forzando i regolamenti per far passare le leggi più contestate, la stessa riforma costituzionale e la legge elettorale: canguri, emendamenti trappola e tagliole sono cronaca parlamentare recente. Ma il presidente del Consiglio desidera una lealtà costante, senza eccezioni. E così ha trasformato la decisione sull’emendabilità dell’articolo 2 in una scelta politica, preparandosi a contestarla. Quando è in realtà una conseguenza tecnica della fretta e approssimazione con la quale la maggioranza ha fatto votare il disegno di legge di revisione costituzionale alla camera.
Sull’articolo 2 non si potrà non votare ancora. È discutibile se si possa riaprire la questione dell’elezione diretta dei senatori, perché anche la piccola modifica approvata alla camera, rispetto al primo testo del senato, non fa che confermare quella scelta di fondo. Sono allora discutibili gli emendamenti che vogliono riportare la scelta dei senatori in capo ai cittadini. Emendamenti che, nel caso fossero ammessi, sulla carta dovrebbero avere la maggioranza dei voti – il problema per Renzi sta tutto lì.

Invece non si può discutere sul fatto che l’articolo nel suo complesso andrà rivotato, perché si troverà sempre un senatore della minoranza che in aula chiederà di riportare il testo alla versione precedente: magari quell’emendamento sarà bocciato, ma l’articolo bisognerà poi votarlo. Se la maggioranza filo elezione diretta volesse coalizzarsi (da Forza Italia a Sel passando per la sinistra Pd) potrebbe colpire lì, e affondare riforma e governo. Ma è bene sottolineare il se: la minoranza Pd non è mai stata compatta e conseguente con i suoi annunci fino in fondo. E in questa prima lettura i senatori tentennanti possono ancora uscire dall’aula, salvando un po’ la faccia e tanto il governo.
Grasso ieri ha smentito l’ultimo «retroscena» di Repubblica, e anche il Quirinale ha smentito che il presidente del senato abbia già informato il capo dello stato della sua decisione. Del resto che l’articolo 2 andrà comunque rivotato in aula Grasso lo ha detto non sul retro ma in piena scena, a luglio durante la cerimonia del ventaglio. Il presidente del senato potrebbe cautelarsi e convocare la giunta per il regolamento, ma anche questa mossa il governo la giudica un tradimento perché in quella giunta la maggioranza pro riforma non ha i voti sufficienti. Come non ce li ha in commissione affari costituzionali, ed è per questo che si prepara ad andare subito in aula: una «forzatura» annunciata direttamente dal premier, in questo caso senza scandalo.
«Posso confermare che ho trascorso l’estate studiando le audizioni dei costituzionalisti in prima commissione», ha detto ieri Grasso. La maggioranza di quei professori, una maggioranza netta, ha sostenuto che l’articolo 2 e anche l’elezione diretta possono essere rimessi in discussione. Per una ragione un po’ più di fondo del regolamento parlamentare (del resto già ignorato sul punto, e da Napolitano presidente della camera). C’è sempre tempo per ripensamenti, hanno spiegato. Si sta parlando della Costituzione.