Un emendamento del senatore Quagliariello, ex ministro del governo Letta e saggio di Giorgio Napolitano per le riforme, può essere la chiave per sbloccare il disegno di legge di revisione costituzionale, che l’8 settembre riprende l’iter in commissione (con ancora altre audizioni). Un emendamento, annegato nel mare dei 510mila ostruzionistici compilati dal «cervellone» del leghista Calderoli, che riguarda la composizione del senato ma non punta a modificare il delicato articolo 2. Cioè quello dov’è stabilito il principio dell’elezione indiretta dei senatori, articolo che andrà votato ancora anche se è diverso in una sola parola dal testo già approvato a palazzo Madama. Il governo non vorrebbe che fosse riaperto per intero dal presidente del senato Grasso, a tutti gli emendamenti. Perché sulla carta la maggioranza dei senatori è favorevole a mantenere l’elezione diretta per il nuovo senato.
L’emendamento del Nuovo centrodestra è in pratica un rinvio. Propone un’aggiunta all’articolo 35 della riforma, dove si parla della legge ordinaria che – dopo la costituzione del primo senato – dovrà stabilire i criteri con cui si scelgono i consiglieri regionali-senatori. Questa legge, secondo Quagliariello, potrà stabilire anche «i criteri per l’indicazione da parte degli elettori dei candidati da eleggere senatori». In questo modo nella Costituzione italiana ci sarebbe un principio (nel nuovo articolo 57) che esclude l’elezione diretta dei senatori, e un sistema (nel nuovo articolo 122) che corregge il principio, prevedendo che gli elettori possano dare «un’indicazione». Saranno poi promossi a palazzo Madama i consiglieri più votati? Manterranno i due incarichi? Ci sarà un listino? Si vedrà. Anzi, la maggioranza Pd immagina che può essere proprio la vaghezza della soluzione a consentire la resa alla minoranza. Magari non a tutti i 28 senatori «dissidenti» che hanno firmato emendamenti in favore di una chiara elezione diretta del senato, ma almeno ai più «responsabili». Tenendo presente che siamo ancora in prima lettura e chi ha paura di far cadere Renzi – vale anche per i berlusconiani – non dovrà per forza votare secondo le indicazioni del governo. Può bastare uscire dall’aula.
E con queste premesse che il capogruppo del Pd al senato Luigi Zanda ieri si è spinto a dire all’agenzia AdnKronos che «siamo vicini a un risultato positivo», anche con la minoranza Pd. Nel frattempo dalla festa nazionale dell’Unità a Milano, Pierluigi Bersani prima si scatenava contro il progetto del governo – «è una deformazione seria del processo democratico», poi spiegava che anche sulle riforme «una soluzione si troverà». Lasciando a Vannino Chiti, punto di riferimento dei senatori favorevoli all’elezione diretta, una speranza: «Spero che quelle di Zanda non siano parole al vento e che seguiranno scelte concrete e coerenti». Poco dopo Zanda precisava: «Ho solo espresso un auspicio».