Farindola (Pescara) è blindata. Il cuore del paese, con la chiesetta gialla di San Nicola Vescovo che la domina, è stracolmo. Con Protezione civile e forze dell’ordine a cercare di dissuadere chiunque tenti di arrivarci. «È strapieno», dicono.

E, in effetti, lo è: per i funerali di Alessandro Giancaterino, 42 anni, del posto, maitre dell’Hotel Rigopiano, travolto il 18 gennaio scorso da una valanga che ha ucciso molti dei suoi clienti e lavoratori.

Una miriade di ombrelli slargati per pioggia e nevischio e la maglia dell’Inter sulla bara: così lo salutano. Il fratello Massimiliano, ex vice sindaco, dice: «Ho sperato a lungo, ma poi… Rimaneteci vicino, sempre. Non abbandonateci».

E ai cronisti racconta di quell’albergo, ora sepolto, dei luoghi del disastro: «Non è zona di slavine – rammenta -. Era un posto bellissimo, dove ho lavorato ai tempi dell’università. Una volta era una pensione, nel 2008 ristrutturata: ritenevo fosse un complesso solido. Invece ecco la realtà, durissima…».

Anche Penne, qualche ora più tardi, dà l’addio ad una giovane vittima della sciagura di ghiaccio: Gabriele D’Angelo, 31 anni, cameriere nell’hotel devastato. Esequie in forma privata nella chiesa di San Massimiliano Kolbe. «Abbassate le telecamere – intimano i familiari all’arrivo del feretro -. Lasciateci in pace con il nostro dolore». Tanta gente, un colpo di colore la miriade di divise della Croce Rossa, di cui il giovane era volontario.

Si consuma così un’altra giornata, di lutto, in Abruzzo. Qui il Rigopiano, tra i cui resti i soccorritori sono ancora al lavoro, restituisce un morto dietro l’altro. I corpi vengono tirati fuori da quei vani divelti, trasformati d’un colpo in macerie, e in un tomba, per tanti.

Il bilancio del disastro racconta, al momento, di 17 vittime e di 11 sopravvissuti. Erano in 40, complessivamente, in quel luogo di vacanza, tra personale e clienti. «Andiamo avanti a scavare – ribadisce, Luigi D’Angelo, funzionario del Dipartimento della Protezione civile -. Non ci fermeremo, fino a quando non avremo la certezza che non ci sia più nessuno sotto i detriti. Dobbiamo continuare a cercare. È stata raggiunta l’area tra le cucine, il bar e la hall».

Un complesso turistico-ricettivo trasformato negli anni, fino a diventare un 4 stelle, che svettava all’interno del Parco nazionale Gran Sasso -Laga, in uno scenario naturalistico d’incanto. «Ma – denuncia il Forum Acqua Abruzzo, che annuncia un esposto alla magistratura – realizzato su letti di frane precedenti, su accumuli preesistenti, anche di valanghe».

Sul resort e sulla tragedia accelera l’inchiesta della Procura di Pescara che ha cominciato ad ascoltare, come testimoni, i superstiti e i familiari delle vittime. L’indagine va avanti speditamente, tra atti sequestrati, documenti – anche bollettini Meteomont sull’allerta valanghe, fax, messaggi Whatsapp e di posta elettronica scambiati prima che si consumasse il dramma – acquisiti in enti pubblici, come Provincia, Regione, Prefettura.

E dalle prime verifiche salta fuori, ad esempio, che la mail d’allerta delle 13.57 del 18 gennaio, con richiesta urgente d’aiuto, spedita dal direttore dell’hotel a tutti gli enti interessati non è stata vista dai funzionari della Regione: gli uffici erano stati evacuati per il terremoto. Infatti, dopo la seconda scossa, delle 11.14, i dirigenti della Regione avevano autorizzato l’evacuazione degli uffici sia all’Aquila che a Pescara. Quindi i locali erano chiusi.

L’albergo, con sentenza depositata il 7 dicembre 2016, era uscito indenne da un processo su presunti abusi edilizi. Irregolarità su terreni demaniali ad uso civico pastorale, che una delibera del Comune ha fatto diventare regolari.

I giudici, nel verdetto, scrivono che «l’occupazione abusiva che riguardava una porzione di terreno piuttosto esigua (1.700 m2) tenuto conto della collocazione geografica (area di montagna totalmente disabitata e destinata a pascolo), fu sanata e stabilito per la sua occupazione un canone che non vi sono motivi per ritenere incongruo». Aspetti che verranno riesaminati, sotto un’altra luce.