Con l’ultimo bollettino, la Banca d’Italia ha abbassato ancora le stime del Pil formulate nei mesi precedenti. Ma, quasi ad indorare l’amara pillola, ha aggiunto che l’attività economica «si potrebbe, però, stabilizzare a fine anno».
Questa breve affermazione con tanto di condizionale ha dato il via ad un’ondata di dichiarazioni di ottimismo su una ripresa pronta a scattare nel quarto trimestre del 2013. Il condizionale è scomparso, la stabilizzazione è diventata ripresa ed il governo dei rinvii e delle promesse a slittamento continuo ha così cercato di segnare un punto a suo favore: seminare speranze sul futuro può comunque servire a spostare lo sguardo dalla tristezza del presente. Ma quale fondamento hanno quelle previsioni di ripresa?
Lo scorso settembre per l’Eurozona si prevedeva, nel 2013, una crescita del +0,9%, adesso si prevede una flessione del -0,6%: siamo quindi un punto e mezzo sotto quanto previsto meno di un anno fa con un errore del 165%.
Se guardiamo solo all’Italia la stima di crescita del Pil nel 2013 che si fa oggi è inferiore di un punto percentuale rispetto a quella fatta 5 mesi fa: si è passati dal -0,9% al -1,9% con un errore di oltre il 100%.
Questi dati ci dicono tutto sulla fragilità delle previsioni in una fase di crisi senza precedenti storici: questa è la prima crisi dell’era della globalizzazione ed i modelli econometrici sono saltati sia nel prevederne l’esplosione – che infatti nessuno aveva previsto – che nel seguirne l’evoluzione. Ma se le previsioni finora formulate si sono dimostrate così scandalosamente errate, perché dovremmo prendere sul serio quelle odierne con le relative amenità pseudo poetiche di chi intravede qualche raggio di luce alla fine del tunnel o i penosi ricatti come quello che la ripresa ci sarà se nessuno intralcerà l’azione del governo?
Dice la stessa Banca d’Italia che i fattori che nel loro insieme potrebbero determinare una ripresa sono il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese ed una maggiore penetrazione nei mercati internazionali favorita anche dalla flessione dei corsi petroliferi.
Ma, aggiunge, sulla ripresa dell’attività all’inizio del 2014 gravano rischi al ribasso legati alle prospettive dell’economia globale, alle condizioni di liquidità delle imprese e a quelle dell’offerta di credito. Quindi scarse possibilità di ripresa, ma con abbondanti dubbi. Sarebbe il caso, quindi, invece di scambiare i propri desideri con la realtà, di ragionare con le logiche di funzionamento dell’economia. Proviamo a metterne in fila alcune .
1) La nostra crisi sarebbe stata ancora più pesante se le esportazioni verso i paesi emergenti non avessero offerto uno sbocco ad una parte della nostra produzione e ad alcune nostre imprese che hanno saputo innovare ed internazionalizzarsi. Ma la crescita dei paesi emergenti si sta indebolendo e questo desta preoccupazioni sulla tenuta delle nostre esportazioni
2) Sul versante della liquidità per gli investimenti delle imprese coesistono da un lato un orientamento restrittivo da parte delle banche a concedere prestiti alle imprese e dall’altro una debolezza della domanda di credito dovuta alla fragilità della domanda di consumi da parte delle famiglie italiane. Secondo lo stesso bollettino della Banca d’Italia la spesa delle famiglie rimarrebbe debole perché frenata dall’andamento del reddito disponibile e dall’incertezza sulle prospettive del mercato del lavoro. Quindi occorrerebbe impedire che ad un rallentamento dell’export continuasse ad affiancarsi una domanda interna in flessione.
3) Quello del mercato del lavoro è, perciò, il vero grande problema da cui tutto dipende. E qui si registrano i seguenti fenomeni: si riduce l’incidenza del lavoro a tempo pieno, diminuiscono i posti vacanti e le nuove assunzioni, scende il tasso di occupazione femminile, aumenta il ricorso alla cassa integrazione, si riducono le ore lavorate, le prospettive soprattutto per i giovani restano negative, le retribuzioni di fatto si riducono in termini reali e così via. Senza contare che, anche se dovesse esserci un minimo di ripresa del Pil, questo non significa che ci saranno effetti positivi contestuali sui livelli di occupazione perché il mercato del lavoro reagisce sempre con ritardo alla dinamica dell’attività produttiva.
4) In questo contesto l’espansione dei redditi delle famiglie in tutte le forme possibili – da nuova occupazione al sostegno ai redditi (anche di cittadinanza se possibile) – è una condizione sine qua non perché la ripresa non resti parola vuota. Ma queste misure richiedono un intervento pubblico e, quindi, un allentamento “straordinario e temporaneo” dei vincoli di bilancio. Se non si ottiene questo a livello europeo è meglio accantonare la parola ripresa.
5) E a proposito di Europa. La competitività dell’Europa non sembra destinata a crescere perché le politiche monetarie di Usa e Giappone fondate su iniezioni di liquidità hanno favorito un apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro e dello yen, il che non favorisce certo le esportazioni. Quindi servirebbe una politica monetaria europea con una immissione di liquidità per finanziare progetti di investimento europei. Servirebbe, come ha proposto il sindacato tedesco Dgb, un “piano Marshall” capace di stimolare una ripresa concentrata nei “settori produttivi del futuro” più legati alla manutenzione e cura della persona e del territorio istituendo un Fondo Europeo di investimenti per il lavoro da finanziare con una patrimoniale straordinaria e con emissioni di titoli europei che potrebbero attrarre investitori istituzionali.
Come emerge da questi pochi cenni una ripresa non può cadere dal cielo delle previsioni, ma può scaturire solo da scelte complesse e coraggiose. Sarebbe il caso allora che i nostri governanti si misurassero con questi problemi e ci dicessero se vogliono queste cose e cosa intendono fare per ottenerle.
Ed a sinistra sarebbe auspicabile che le cento piazze proposte da Airaudo e Marcon diventassero occasioni per aggregare attorno ad un progetto così difficile ed ambizioso movimenti e forze sindacali e politiche.