Di autori italiani importanti a livello internazionale, dal dopoguerra in poi, ce ne sono stati molti. Ma se si passa a quelli che hanno inventato qualcosa di completamente nuovo, il gruppo si restringe. Di tanto possono vantarsi solo pochi, Hugo Pratt – autore di fumetti, anzi di letteratura disegnata come la definiva lui stesso – è tra questi.

Il grande disegnatore e autore veneziano non ha solo rovesciato e riscritto i canoni del fumetto: ha creato un mondo e fissato i termini di un’intera poetica che travalica i confini delle avventure esotiche nelle quali i suoi personaggi sono calati, per coinvolgere l’esperienza di chiunque, ovunque. Corto Maltese è il simbolo di quella poetica, la sua espressione compiuta, ma le radici si trovano tutte già nella produzione precedente di Pratt e il riflesso è tangibile nei lavori portati a termine parallelamente alla lunga saga del marinaio con l’orecchio forato. Del resto lo stesso Corto muta e si evolve nel corso del tempo e nello snodarsi dei romanzi e delle suites di racconti che lo hanno visto protagonista: dal 1967 quando apparve sulla rivista Sgt. Kirk nelle prime tavole di Una ballata del mare salato, letteralmente emerso dall’oceano, naufrago, legato a una zattera, al 1991, quando sulla rivista che dall’avventuriero maltese prendeva il nome comparve l’ultima striscia dell’avventura magica e onirica Mu.

A Pratt e al Maltese sono stati dedicati volumi e mostre, convegni e omaggi grafici. Però sinora nessuno si era cimentato nell’interpretazione rigorosa del suo significato, nessuno aveva analizzato la saga del Maltese come merita un ciclo che è a tutti gli effetti uno dei massimi risultati della letteratura contemporanea. Lo fa Stefano Cristante, uno di quei sociologi che sanno misurarsi con la cultura popolare senza mai degenerare nell’approccio accademico, ricordando sempre che di quel che è nato per divertire bisogna saper parlare divertendo. Il suo Corto Maltese e la poetica dello straniero. L’atelier carismatico di Hugo Pratt (Mimesis, pp. 145, euro 14.00) scandaglia a fondo e da molteplici punti di vista la specifica poetica di Pratt, lavorando sul segno grafico come sui testi, adoperando le lenti della semiotica, della critica letteraria e della sociologia, ma subordinando il tutto, quasi sempre con successo, al primato del racconto spedito.

In Corto, e negli «stranieri» che lo hanno preceduto, Pratt aveva trasferito la propria stessa avventurosa irrequietezza, l’istinto che da giovane lo portava a imbarcarsi appena possibile, facendo disperare i compagni di avventura editoriale, capitanati da Alberto Ongaro. Non riuscivano a dare una scadenza fissa al giornale, Asso di Picche, proprio per colpa delle tendenze vagabonde e anarchiche del loro primo disegnatore. Con la testa, poi, Pratt era in perenne movimento quanto con i piedi: la sua era una curiosità onnivora, ma con decisa predilezione per tutto ciò che dalla cultura ufficiale è stato lasciato in ombra. I percorsi biografici e intellettuali di Hugo Pratt, che Cristante segue nel dettaglio nella prima parte del suo libro, sono un romanzo in sé, e non sono scindibili dalla sua creazione artistica.

Cristante individua il perno della poetica di Pratt/Corto nella figura dello «straniero». Nelle storie del Maltese gli «stranieri» abbondano, ma nel protagonista si tratta di una condizione esistenziale, non contingente. Corto Maltese è di fatto un apolide, dunque senza possibilità di tornare in patria. Lo scarto di Pratt è sottrarre il suo personaggio alla condanna che grava per definizione sullo «straniero»: lo spaesamento. La specificità del marinaio di Pratt è al contrario non essere mai spaesato. Ovunque il vento lo porti, con qualsiasi popolo o tribù o setta entri in contatto il Corto è sempre informatissimo, conosce sempre qualcuno al suo interno, padroneggia i codici comunicativi, e nei rari casi in cui così non è corre in soccorso una rara capacità empatica che gli consente appunto di evitare quella sensazione di estraneità e disagio che chiamiamo spaesamento.

Non significa però che il Maltese si trovi ovunque come a casa propria. Rispetto ai mondi o alle culture che incontra e a cui pure si avvicina, resta sempre uno straniero, si mantiene coscienziosamente un passo indietro. Fa proprio, alla lettera, il consiglio che dava l’esiliato russo Aleksandr Herzen, citato da Cristante attraverso la lettura di Richard Sennet: «Partecipa ma non identificarti».
Questo perfetto punto di equilibrio tra prossimità e distanza, Corto lo riproporrà anche nei confronti di appartenenze diverse da quelle semplicemente etniche, quando l’aspetto esoterico e sapienziale diventerà centrale nelle storie di Hugo Pratt. Non a caso Cristante cita a più riprese l’incontro tra l’avventuriero e i massoni di una loggia veneziana. Il Maltese dimostra di conoscere i percorsi degli illuminati tanto bene da spingere il maestro a chiedergli se non sia anche lui un libero muratore. Pratt, che pure era massone, gli fa rispondere lapidario: «Mi accontento di essere un libero marinaio».

Corto Maltese è un’ennesima figura dello sradicamento novecentesco. Però apre sentieri nuovi perché lo affronta in maniera inedita. In un certo senso, è l’opposto del Franz Tunda di Jospeh Roth in Fuga senza fine, personaggio coevo di Corto e con una biografia non meno avventurosa. Per Tunda lo spaesamento è invincibile si allarga fino renderlo uno straniero in patria, smarrito e «superfluo» anche una volta tornato a Vienna. Corto riesce ad abitare lo spaesamento. Rovescia la disperazione del Nowhere is Home in punto di forza. Uno dei segreti principali della sua magia e del suo fascino è proprio nel rappresentare un’alternativa a una modernità in cui lo spaesamento e il tentativo di fronteggiarlo mimando appartenenze identitarie forti, sono diventate pane quotidiano per tutti.