L’Italia si aspetta tanto dall’Expo milanese, in termini di visite, visibilità internazionale, prestigio e naturalmente entrate economiche. L’Expo del resto serve a quello: restituire ad un paese la vetrina internazionale e facilitare gli scambi commerciali.

Gran parte di questo presunto successo, stando alle previsioni, dovrebbe dipendere dai cinesi, perché la popolazione della locomotiva mondiale è attesa in gran numero (almeno un milione, si dice). La Cina e suoi potenziali visitatori alla kermesse milanese hanno alcune caratteristiche che fanno ben sperare: rappresentano un paese in crescita, seppure meno degli ultimi anni, hanno un sicuro interesse e amore nei confronti dell’Italia, hanno visto l’ultimo Expo da vicino, essendo stato ospitato a Shanghai nel 2010.

Eppure, tutte queste speranze rischiano di infrangersi su un’immagine non proprio gradita a Roma, dato che le notizie circa le difficoltà dell’Expo milanese (ritardi e polemiche) sembrano aver varcato ampiamente i nostri confini. Ieri il China Daily, quotidiano in lingua inglese, ha proposto un articolo molto critico nei confronti dell’Expo italiano, accusando l’organizzazione di avere dei problemi legati ai tempi, alla consegna dei padiglioni terminati e alla corruzione degli organi che gravitano intorno all’evento.

Niente di trascendentale, sono le osservazioni che quelli che non si definiscono «expo ottimisti» fanno da tempo. Non sono un mistero, le difficoltà dei lavori, la frenesia dovuta ai governi succedutisi negli ultimi tempi, le inchieste che hanno minato la trasparenza del progetto Expo. Ma questa volta l’attacco non arriva da «gufi» o creature simili, bensì da chi viene considerato il potenziale salvatore di tutta la kermesse. Secondo i cinesi, come si legge nel China Daily, «pensato come una celebrazione per l’apertura al mondo di Milano e come un’opportunità per esplorare nuove opportunità in favore di un’alimentazione sostenibile, l’evento è finito sotto i riflettori per quella corruzione cronica e ritardi che da decenni caratterizzano le grandi opere pubbliche italiane”.

Un giudizio non proprio lusinghiero, che però giunge da un paese che in questo momento sta affrontando la campagna anti corruzione più feroce degli ultimi anni, portata avanti dal presidente Xi Jinping, con un team ad hoc creato proprio per perseguire i «corrotti».

Ma la Cina sui lavori pubblici e le grandi opere, si sente in diritto di poter dire la propria. Anche su questo, qualcuno potrebbe aver da ridire considerati i ritmi di lavoro in Cina e la scarsa attenzione ai diritti e alla sicurezza.

Ma in questo caso conta l’immagine, come sa bene Renzi, non solo la sostanza. E la comunicazione dell’Expo milanese, così come le sua capacità di accellerare nel farsi trovare pronto per l’inaugurazione, sembrano fare acqua da tutte le parti, se perfino in Cina arriva l’eco dei ritardi e degli scandali. Per altro Pechino ha il suo padiglione già pronto. Come riportato nelle settimane precedenti, Vanke, la società immobiliare cinese che lo ha realizzato, ha ottenuto il certificato il certificato di fine lavori il 1 aprile scorso. Disegnato dall’architetto americano Daniel Libeskind, il padiglione cinese avrà come titolo «Building community through food».