Nella storia della pittura, il realismo ha conosciuto destini contrastanti. Passata la stagione di maestri come Manet e Courbet, durante il secolo scorso il realismo in pittura si è trovato spesso messo alle strette tra il confronto con la fotografia e l’iscrizione in un determinato programma politico. Fra le due guerre, ad esempio, il ritorno in forza del realismo nell’arte europea era legato a una volontà di restaurazione che si concretizzava nel naturalismo fortemente supportato dai regimi totalitari, contro le sperimentazioni e la destrutturazione della forma delle avanguardie di inizio secolo.

Dopo il secondo conflitto mondiale, gli artisti che più si impegnano per un rinnovamento del linguaggio pittorico rigettano proprio l’estetica realista e abbracciano invece l’astrazione, che, nelle sue molteplici varianti, viene vissuta come il simbolo di una rinnovata libertà espressiva. Questo è particolarmente vero per il contesto americano, dove la generazione degli espressionisti astratti viene immediatamente assunta come simbolo di questa libertà che, per altri versi, andava di pari passo con l’istaurazione di una nuova egemonia culturale.

Come si sa però la storia dell’arte tende a privilegiare polarizzazioni che vengono per lo più tradotte in una cronologia che, a ben guardare, non è mai così lineare. Questa visione, infatti, lascia fuori una serie di produzioni che risultano invisibilizzate dai criteri storico-artistici secondo i quali siamo abituati a leggere le opere.

La traiettoria pittorica dell’americana Alice Neel (1900-1984) è rimasta a lungo marginalizzata proprio perché risultava incompatibile con le rappresentazioni più in voga della storia dell’arte americana. Una grande retrospettiva dei suoi dipinti, inauguratasi all’Ateneum Art Museum di Helsinki, permette finalmente di fare conoscere anche in Europa il lavoro di questa straordinaria artista (la mostra è visibile fino ad ottobre, viaggerà poi alla Fondazione van Gogh ad Arles, alla Deichtorhalle di Amburgo e al Gemeentemuseum a L’Aia).

La rassegna, significativamente intitolata Painter of Modern Life, ripercorre attraverso una settantina di dipinti le tappe più significative della carriera di Neel, dagli esordi negli anni ’20 fino alle ultime tele degli anni ’80, provando a riflettere sulle implicazioni politiche dello stile realista da lei adottato e sulla sua predilezione per il genere del ritratto.

Nel suo attraversamento del XX secolo, Alice Neel compone una sorta di storia visuale del proprio tempo, attenta tanto alla dimensione intima e psicologica dei soggetti ritratti, quanto a quella sociale e politica. Simpatizzante comunista nell’America della Guerra Fredda (era stata iscritta al partito durante gli anni ’30), femminista, sostenitrice della causa degli afro-americani, Alice Neel si interessa in particolare al modo in cui l’appartenenza a una determinata classe sociale si riverbera nelle vite individuali. Durante la giovinezza, Neel transita tra Cuba – in compagnia dell’allora marito – la nativa Philadelphia, il Bronx, il Greenwich Village e Harlem, dove si stabilisce fino ai primi anni ’60, prima di trasferirsi nell’Upper West Side.

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Neel frequenta gli ambienti culturali legati alla bohème letteraria e artistica, all’underground e al radicalismo politico, mentre soltanto durante gli anni della maturità comincia a frequentare il mondo dell’arte che, però, esiterà a lungo prima di riconoscerle il posto che le spetta. È in questi ambienti eterogenei che Neel incontra la maggior parte dei soggetti per i suoi dipinti, ritratti nel tipico stile incisivo, lontano da ogni sentimentalismo e scevro dalle lusinghe, come si può osservare ad esempio nei ritratti degli scrittori Max White (1935) o Alvin Simon (1959), il primo epitome dell’intellettuale proletario nell’America degli anni ’30, il secondo figura importante del Black arts mouvement del secondo dopoguerra.

Nonostante l’intervallo di quasi vent’anni che separa questi due ritratti e i cambiamenti intercorsi nello stile, entrambi rendono palpabile la capacità di Neel di dare forma a una galleria di personaggi fortemente iscritti nelle tensioni che animano la loro epoca. Nella sua esplorazione della soggettività Alice Neel è riuscita a sovvertire in modo radicale uno dei generi pittorici più antichi che poco ha a che vedere con la dimensione psicologica associata al ritratto, ossia il genere del nudo. È particolarmente evidente nel modo in cui affronta il nudo maschile, sfidando una tradizione secolare che vede nel corpo femminile il soggetto privilegiato. Il ritratto di John Perreault del ’72 mostra un giovane uomo languidamente sdraiato su un letto, lo sguardo disinteressato rivolto all’osservatore, i genitali svogliatamente in evidenza.

Ancora più radicale è forse il modo in cui Neel tratta il nudo femminile: qui il confronto con la tradizione si fa più stringente. Nel suo Pregnant Woman del ’71, Neel ritrae la nuora Nancy incinta di due gemelli in una straordinaria demistificazione dell’archetipo del materno. Il quadro, realizzato poche settimane prima del parto, quando alla donna era stata diagnosticata un’infezione, mostra la futura madre sdraiata su un divano, lo sguardo fisso, in un isolamento che non ha nulla di rassicurante ma che trasmette anzi un’impressione di concentrazione su di sé e di malessere, accentuata dal colore verdognolo che avviluppa il corpo.

Come accade negli altri suoi ritratti, anche qui l’enfasi sul contesto è accompagnata da un muto dialogo che si instaura tra la persona ritratta e la pittrice, interessata ad entrare in relazione con i suoi soggetti attraverso la pittura. La mostra di Helsinki lascia risaltare la dimensione relazionale dei suoi dipinti e la capacità di articolare le questioni pittoriche con l’esplorazione delle differenze sociali e di genere, al centro della vita newyorkese del suo tempo. Le opere più conosciute, nelle quali immortala una galleria di personaggi appartenenti al mondo dell’arte e della subcultura degli anni ’60 e ’70, rimandano proprio a questo intreccio tra la soggettività e le trasformazioni che sconquassano l’America del XX secolo.