È la moda del momento, prendi un vecchio film e lo trasformi ad uso e consumo del piccolo schermo… La formula prevede l’adattamento di un film di successo «culturale» al format seriale, ricetta che di recente ha prodotto una esplosione di contenuti dal sapore nostalgico con cui i produttori sperano replicare il successo degli originali. Mentre i network generalisti ripropongono versioni vagamente hipster e millennial di MacGyver e Arma letale, sui canali «premium» si punta al cinema «cult»: su FX Fargo ha rivisitato «l’universo» dell’omonimo film dei fratelli Coen, scegliendo – saggiamente – di applicare l’ambientazione e il «vibe» dell’originale a nuove narrative che ne ritrovano le atmosfere, non i personaggi specifici. Nella segretezza ermetica dei suoi laboratori David Lynch intanto è a buon punto sul reboot (remake? sequel?) di Twin Peaks spasmodicamnte atteso da legioni di fan. Il mese prossimo la HBO svelerà la versione serial di Westworld, uno sci-fi/western basato sull’omonimo film di Michael Crichton, (cult assoluto con Yul Brynner nei panni di un cyborg pistolero, antesignano del Terminator cameroniano che sarebbe seguito qualche anno dopo). La serie è prodotta da JJ Abrams. Sam Raimi nel frattempo è in onda con la seconda serie di Ash v. Evil Dead la rivisitazione allegramente punk/gore (e deliziosamente autoironica) del franchise horror-comedy de La Casa.

In Roadies che in patria ha da poco concluso la prima stagione e che arriverà a breve sui canali pay Mediaset Premium, Cameron Crowe si rituffa nelle atmosfere del suo Almost Famous, il film che nel 2000 ne lanciò la carriera, fruttandogli un Oscar per la sceneggiatura. Il film era la storia di un aspirante giornalista rock che alle prime armi si unisce al tour di un supergruppo – un bildungsroman semiautobiografico in cui il ragazzo si innamora, perde la verginità e infine troverà il distacco necessario dai propri idoli per diventare un vero critico musicale. La serie, prodotta da (chi altri?) JJ Abrams, è aggiornata al backstage di oggi e segue i componenti di una «concert crew», guidata da Luke Wilson e Carla Gugino, alle prese con la produzione della tournée. Roadies non è stata però rinnovata dalla Showtime per una seconda stagione – il secondo progetto di ambientazione rock a non trovare un grande pubblico dopo il fallimento di Vinyl di Martin Scorsese e Mick Jagger.
Roadies che ha visto la partecipazione di veri artisti come John Mellencamp, Lindsey Buckingam, Eddie Vedder, Robyn Hitchcock, Jackson Browne, è destinato dunque a rimanere una miniserie, uno sguardo dietro le quinte del mondo nascosto dei macchinisti, fonici, assistenti, manager e roadies che lavorano alla periferia del rock ‘n roll – il mondo che dai suoi esordi come giornalista di Rolling Stone rimane la prima passione di Crowe.

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Perché ha voluto ritornare, per così dire, sui suoi passi? 

La cosa buffa è che Almost Famous non è certo stato il mio maggior successo commerciale, se non ricordo male al box office non ha funzionato… Però con il passar del tempo è diventato quasi un oggetto di culto, credo sia perché la musica è un linguaggio davvero universale. È del tutto diversa da un quadro o da un’opera teatrale, dal cinema o dalla televisione. Contiene un qualcosa, un germe di poesia, che ognuno può fare proprio. Incontro la gente che mi parla del film e dei loro artisti preferiti e della musica che amano e il fatto che Almost Famous riesca ancora e suscitare una tale reazione mi ha fatto capire che non esiste nulla come la musica. È la teoria anche del nostro programma.

Vale anche per lei?

Adoro la musica e ancor oggi credo che resti la mia guida in molti aspetti della mia vita, credo sia la poesia che mi porto nell’anima. E in qualche modo appare in tutto ciò che ho fatto nella mia carriera. E quando con JJ ci siamo seduti per pensare all’ambiente in cui far interagire i personaggi, ci siamo detti che sarebbe stato interessante far partecipare musicisti veri, facendoli entrare nella trama, nel cast, come attori e come performer nei concerti.

Perché i «roadies» come protagonisti?

Li trovo affascinanti. Nell’immaginario sono strafattoni che portano in giro la chitarra della star… In realtà ci trovi le persone più svariate: giovani, anziani, alcuni che dall’aspetto potrebbero lavorare in banca, altri che si occupano solo di cucinare ogni sera un banchetto e soprattutto lavorano tutti sodo. Voglio dire che si tratta di montare il circo ogni sera e ci vuole qualcuno che sappia farlo. È come sul set di un film, non puoi certo star seduto a farti le canne e aspettare che il musicista si accordi la chitarra. La magia si crea col sudore e noi cerchiamo di dare un’occhiata dietro le quinte.

Ci sono roadies e ci sono le groupies…

Io sono stato sposato con una musicista (la cantante delle Heart, Nancy Wilson,formazione di gran successo negli ’80 ndr) e di diritto mi considero quindi un po’ groupie….Certamente so che essere il compagno di una musicista di successo vuole dire anche sapersi fare da parte al momento opportuno ed essere semplicemente la persona che offre supporto da dietro le quinte. È una cosa bella e in qualche modo il tema della nostra serie: chi è l’uomo o la donna di cui parla la canzone? Perché non esplorare anche quelle persone che stanno silenziose a pochi metri dalla star su cui si concentra l’attenzione dell’arena …e però senza di loro le canzoni non esisterebbero. Trovo interessante provare a conoscere e capire le persone che hanno ispirato i successi che conosciamo e amiamo.

Com’è stato lavorare su una serie rispetto al set di un film?

Ci si muove decisamente con ritmi più veloci e tempi stringati. A volte ti capita di scrivere la sera prima le battute che giri il giorno dopo. Ad esempio, mentre giravamo una scena dell’ultimo episodio con Eddie Vedder, stavamo sul palco per decidere l’inquadratura giusta, Eddie parlava della puntata andata in onda il giorno prima. Mi sembra pazzesco che sia tutto talmente compresso. Mi sembra di non avere nemmeno il tempo di girare che già la gente ne parla. È come se un musicista non avesse ancora finito di registrare un disco che già la gente lo sta ascoltando. È come lavorare in tempo reale – una sensazione decisamente strana: non lo avevo mai provato prima.