Ogni tanto si accende una lampadina nelle teste degli ideatori dei programmi dell’Accademia Filarmonica Romana. Perché non uscire dal seminato e andare incontro a musiche extravaganti, come le definisce un centro di attività artistiche particolarmente illuminato che si chiama Area Sismica di Forlì? Ecco saltar fuori, quindi, un piccolo festival diluito tra il 13 aprile e il 10 giugno. Titolo: Poligonali 2. Sede: la piacevolissima Sala Casella di Via Flaminia. Musiche d’oggi. Musiche contemporanee storiche, musiche contaminate (prevista anche una rilettura dei Led Zeppelin nel concerto del violinista Francesco D’Orazio), musiche jazz. E musiche sul crinale tra composizione istantanea e improvvisazione pura.

Nel primo concerto della serie è proprio quest’ultimo spazio della ricerca musicale odierna che viene esplorato. In scena un duo in parte collaudato in parte sempre aperto a verificare le proprie possibili interazioni. Daniele Roccato al contrabbasso e Michele Rabbia alle percussioni (con, anche, l’elettronica). Uno è coordinatore dell’ensemble di contrabbassi Ludus Gravis, è concertista classico e contemporaneo di fama mondiale, è sperimentatore instancabile. L’altro è musicista tra i più poliedrici che si conoscano, però è anche tra i più rigorosi (spesso la poliedricità scade in un eclettismo facilotto…). Suona jazz moderno e free, suona musica contemporanea «dotta», suona libera improvvisazione con partner di varia estrazione.

Un set di un lungo brano e di due brevi «encores». Roccato si muove come alla ricerca della melodia, costruendo per accumulo di frammenti lirici concatenati uno spazio di autoanalisi fortemente emotivo, con tratti dal tenebroso al dolente al drammatico. Si avventura poi – sicuramente per suggestioni ricevute da Rabbia, che in una magnifica introduzione è da subito decisamente informale – in una zona dove sono i suoni «senza gravità», senza parentele tonali, attirati dalla materia-rumore, e non le melodie in qualche modo cantabili ad avere l’egemonia. Cluster, sciabolate sulla tastiera del contrabbasso, ancora con forti accenti di emotività manifesta, sono le parole del suo discorso.

Discorso erratico, non-discorso in verità. Piuttosto congiunzione di «stati dell’essere con il suono», liberi da nessi disciplinari e da un qualsiasi ordine ma tesi verso una logica relazionale. Con l’ascoltatore e col partner. Già, il partner. Certo non c’è un leader e un collaboratore in questo duo delle meraviglie. Michele Rabbia, percussionista totale, prende dalle potenzialità del contrabbasso, e di questo speciale contrabbasso, così trasfigurato, una predilezione per i suoni lunghi, per la dilatazione/trasformazione delle risorse di piatti e tamburi col tramite dell’elettronica. Ma questi passaggi non sono nuovi per lui: fanno parte del suo lessico di musicista a 360 gradi.

Un lungo «ponte» ripetitivo o di «ostinato» porta i due concertisti in un’area della meditazione magica. È davvero un momento prezioso, di quelli che inscrivono la performance nel regno degli eventi, non quelli annunciati a sproposito ma di quelli realizzati. Un suono tenuto sostiene i due improvvisatori in una ampia sequenza dove la cultura buddista la cultura romantica la cultura della «contemporanea colta» si danno la mano, si mostrano e si fondono. Qui emerge la parte più strutturalmente percussionistica dell’arte di Rabbia, che sparge intorno lievi battiti e stravolti scampanellii. La coda, lunga, varia, sorprendente, è fatta di parti in solo dei due strumentisti, più concentrato e tormentato Roccato più virtuosistico ed edonistico Rabbia.