C’è un’altra questione che scotta, nell’agenda di Virginia Raggi: la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024. Ma nell’era “partecipativa” della giunta grillina, qualunque decisione verrà presa, con ogni probabilità ormai, senza alcuna consultazione popolare preliminare. Bocciata dall’Aula capitolina, un paio di giorni fa, la proposta di referendum presentata dal consigliere comunale di Si Stefano Fassina, e sull’orlo del fallimento la campagna referendaria promossa da Radicali italiani e Radicali Roma, la sindaca consulterà probabilmente solo il suo movimento prima di stilare – entro il 7 ottobre prossimo – le garanzie che il governo dovrà inviare al Cio. Perché dopo tanti tentennamenti, Raggi e la sua maggioranza in Campidoglio sembra abbiano finalmente deciso da che parte stare. E non è dalla parte del referendum.

I consiglieri del Movimento 5 Stelle, infatti, si sono astenuti sulla mozione di Fassina, che pure non sarebbe stata risolutiva perché per indire un referendum su iniziativa del Campidoglio occorrono i voti di due terzi dell’Assemblea. «Chi vuole può firmare per il referendum indetto dai Radicali», è stata la motivazione.

Peccato che la campagna referendaria radicale «rischia concretamente di fallire», come ha denunciato Riccardo Magi, ex consigliere e segretario di Radicali italiani, che assieme al suo compagno della sezione romana Alessandro Capriccioli appena un paio di settimane fa aveva scritto a Raggi e al presidente dell’Assemblea Marcello De Vito invitandoli a rispettare l’obbligo di «agevolare le procedure e fornire gli strumenti per l’esercizio del diritto di iniziativa popolare». «Senza ricevere», però, riferiscono, «alcuna risposta». Un fallimento dovuto, spiega in una nota Magi, al «combinato disposto prima del rinvio in piena estate, imposto dall’Amministrazione Capitolina anche a causa delle indebite ingerenze del Coni, ed ora dal permanere di ostacoli alla raccolta firme che di fatto la rendono impossibile per chi non dispone di centinaia di migliaia di euro per pagare cancellieri o di un esercito di consiglieri comunali che possono autenticare a costo zero».

Si sono fermati a 10 mila sottoscrizioni, firma più firma meno, troppo lontani dal traguardo delle 28.683 sigle necessarie da raggiungere entro il 10 settembre.

Sia chiaro: il «no» grillino al referendum sta – almeno apparentemente – per un «no» alla stessa candidatura olimpica. Perché è vero che di essa non c’è neppure traccia, nelle linee programmatiche della giunta Raggi. Ed è vero che la sindaca, quando ancora era solo una candidata, era già entrata in rotta di collisione con il presidente del Coni, Giovanni Malagò, definendo «criminale» l’idea di Roma 2024. I XXXIII Giochi olimpici e paraolimpici, ha sempre ripetuto ogni esponente del Movimento a 5 Stelle, con il loro costo «stimato intorno ai 13 miliardi di euro» (secondo la previsione di spesa riportata in Aula dalla consigliere Sara Seccia), «non sono tra le priorità dell’attuale amministrazione comunale».

Eppure, è altrettanto vero, come ricorda Magi, che nel «confronto diretto su Sky, Raggi aveva affermato “se sarò sindaco farò io il referendum sulle Olimpiadi”». Da allora, molto è cambiato. E una cosa è certa: di qui al 13 settembre 2017, quando a Lima il Cio selezionerà la città organizzatrice del 2024, tutto può ancora succedere sotto il cielo instabile della politica romana.