Per l’apertura della stagione il teatro San Carlo di Napoli ripropone, a duecento anni esatti dalla prima, l’unica opera di Rossini ispirata a un testo scespiriano – Otello – che fu, col suo tragico doppio omicidio-suicidio finale, una sfida alle abitudini del pubblico partenopeo. Chiamato dall’impresario Domenico Barbaja a scrivere per il più importante palcoscenico del tempo, Rossini crea un’opera dallo sviluppo drammaturgico inconsueto, innanzitutto per la necessità di comporre parti principali per ben tre tenori e per Isabella Colbran – all’epoca ancora amante di Barbaja, ma che si innamorerà poi del compositore – quale Desdemona. Le deviazioni introdotte dal compositore nella «solita forma» dell’opera lirica sono molte, a partire dall’apparizione della protagonista, che non esordisce con la consueta aria ma con un duetto, probabilmente per risparmiare la voce della Colbran in vista dell’impegnativo terzo atto.

Le parti dei tenori, Otello compreso, brillano più per virtuosismo che per caratura drammatica anzi, come nel caso dell’aria di Rodrigo Ah come mai non senti – più volte citata nell’ouverture – oscillano tra l’aria settecentesca col da capo e quella «moderna» strofica, di origini francesi.

Nell’ultimo atto il lamento di Desdemona, ormai consapevole del suo tragico destino, Assisa a pie’ d’un salice, fratto e spezzato nella linea melodica, è amplificato dall’orchestra con un severo e ansioso accompagnamento, cui certamente guarderà Verdi. L’Otello rossiniano non è il protagonista passionale e antieroico del dramma di Shakespeare, che implode vittima del male assoluto che corrode il mondo (un elemento metafisicamente sottolineato da Verdi), quanto la vittima del ‘combinato disposto’ tradizionale del dramma lirico in cui le diverse passioni dei protagonisti si sommano e intrecciano sfociando, malgrado tutto, nella catastrofe finale.

Per questo spettacolo il San Carlo ha coinvolto specialisti del belcanto rossiniano: John Osborn e Nino Machaidze protagonisti, comprimari Dmitry Korchak e Juan Francisco Gatell, affidandoli alla direzione di Gabriele Ferro e alla regia di Amos Gitai, molto atteso alla sua prima prova lirica. Gitai ha sottolineato l’aspetto razzista del complotto che conduce Otello al crimine con riprese di campi di guerra che si sovrappongono al sontuoso apparato scenico, immaginato da Dante Ferretti, senza integrarvisi.

Una scelta drammaturgica che sottolinea la lacerazione tra l’ansia di integrazione del protagonista e la sua insicurezza: pur sposo di Desdemona non esita a credere al suo tradimento. E’ proprio nella sottolineatura dei contrasti interni di un’opera irriducibile alle convenzioni del suo tempo che lo spettacolo trova la sua ragion d’essere e la sua profonda attualità.