Un vecchio detto di borsa dice: compra sulle voci e vendi sui fatti (in inglese buy on rumor, sell on news). E’ quello che è successo ieri mattina: in meno di un’ora, tra le 9 e le 10, quando l’indice generale di borsa è rimasto sostanzialmente invariato, il prezzo delle azioni Mediaset è salito di oltre il 4 per cento e quello della Mondadori del 5 per cento: in pochi minuti, la capitalizzazione delle due società è aumentata di circa 130 milioni di euro e la Fininvest, holding di controllo del gruppo Berlusconi, ha incrementato il valore del proprio patrimonio di circa 50 milioni mentre gli altri azionisti hanno guadagnato circa 80 milioni.
Nelle ore seguenti della giornata borsistica i corsi delle due azioni sono stati meno divergenti rispetto al mercato: il titolo Mediaset ha lievemente ritracciato, mentre la crescita del valore della Mondadori è stata inferiore a quella del concorrente L’Espresso.
E’ probabile che in quei minuti i prezzi delle azioni siano stati influenzati da rumors; secondo la rete, le voci avrebbero riguardato la prossima sentenza della Cassazione, in favore dell’imputato per la maggior parte dei commentatori.
Non è scontato che tale interpretazione sia veritiera. In astratto, infatti, la conferma della condanna dovrebbe essere interpretata dagli operatori come un forte segnale di controllo da parte della Magistratura sul corretto e trasparente funzionamento del mercato dei capitali, in favore dei legittimi interessi del fisco e dei soci di minoranza; gli investitori dovrebbero aver scommesso sulla capacità di tutela dei mercati da parte delle Autorità pubbliche.
L’alternativa sarebbe certamente più deprimente. Gli investitori avrebbero scommesso sulla capacità delle aziende controllate da Silvio Berlusconi di riuscire a trarre vantaggi dal mantenimento del potere del suo azionista di maggioranza e sulla possibilità che anche gli azionisti di minoranza possano godere di tali benefici. Un esempio di come influire sulle prospettive di reddito delle aziende controllate da Berlusconi è rappresentato dalle recenti proposte del presidente dell’associazione che riunisce gli investitori in pubblicità, Lorenzo Sassoli de Bianchi: dare un credito fiscale sugli incrementi degli investimenti in pubblicità e abolirla su un canale Rai.
Seppur molto probabile, non è neppure scontato che i rumors provengano esclusivamente dalla Corte di Cassazione. Dopo vari anni in cui il titolo Mediaset ha progressivamente perso valore, anticipando risultati economici progressivamente sempre più insoddisfacenti (nel 2012 il gruppo ha chiuso per la prima volta con una perdita di 287 milioni), da qualche mese il prezzo dell’azione è in crescita e negli ultimi quattro è più che raddoppiato. Malgrado il forte calo dei ricavi pubblicitari, il primo trimestre dell’anno si è chiuso con un lieve utile, grazie al consistente contenimento dei costi operativi. Qualche giorno addietro la società ha comunicato che nel mese di luglio, per la prima volta da 22 mesi, la raccolta pubblicitaria è stata superiore – anche se di poco – a quella del corrispondente mese dell’anno precedente; anche altre dichiarazioni dei manager e in particolare di Pier Silvio Berlusconi, sono improntate ad un cauto ottimismo; il corrente esercizio potrebbe chiudersi in modo meno insoddisfacente rispetto al 2012.
Al contempo i conti del principale concorrente di Mediaset, la Rai, appaiono molto deludenti: secondo il bilancio recentemente pubblicato sul proprio sito, l’esercizio 2012 si è chiuso con una perdita di 245 milioni, la maggiore della sua storia, mentre l’indebitamento finanziario ha ampiamente superato i mezzi propri. Ove tale trend non si interrompa, già alla fine del 2013, la situazione finanziaria e patrimoniale del gruppo pubblico diventerà problematica. Come sempre, il cattivo andamento economico della Rai è imputabile alla dinamica flettente della raccolta pubblicitaria, calata del 23% rispetto all’anno precedente. Nel 2000 la raccolta pubblicitaria della Rai era pari a circa il 60 per cento di quella Mediaset, oggi è solo il 37 per cento.
Aldilà dell’interpretazione di singoli episodi, in qualche modo anomali, quando si analizzano le vicende di Berlusconi compare sempre il conflitto tra l’uomo che difende i propri interessi privati e la persona pubblica che dovrebbe difendere gli interessi dell’intera collettività. Nei pochi minuti di ieri mattina, si è manifestato il dubbio che l’agire degli investitori sia stato indirizzato dall’impossibilità di avere nel nostro Paese un mercato concorrenziale dei capitali regolato da regole del gioco applicabili uniformemente a ogni operatore. Ciò a causa del duplice ruolo di Silvio Berlusconi e indipendentemente dall’esito giudiziario.