Si è fatto sentire anche l’ultimo Presidente dell’Urss, Mikhajl Gorbaciov, per dire che il conflitto ucraino può condurre a una vera e propria carneficina in Europa. Gorbacëv, cui peraltro si deve non poco della carta dell’Europa degli ultimi 25 anni, ritiene giusta la non interferenza della Russia negli eventi nell’est dell’Ucraina: «Se il nostro paese interviene, può divampare un incendio che nessuno al mondo riuscirà a spegnere.

E questo non deve essere permesso». Quanto grave sia la situazione lo dicono anche le risposte via via più ferme del nuovo «Stato canaglia» e i suoi avvertimenti a fermare la corsa verso il baratro, finché rimane un lieve margine.

Non è certo senza uno sguardo all’oggi che, senza attendere la data del 1 settembre, anniversario dello scoppio della 2° Guerra mondiale, nelle ultime settimane era più volte risuonato, da parte di Mosca, il richiamo a non distorcere la storia a scopi propagandistici, soprattutto in tema di guerra. Lo scorso 22 agosto lo storico Oleg Nazarov, alla vigilia del 75° della firma del trattato di non aggressione tra Germania e Urss, scriveva: «Politici e giornalisti occidentali a scopo pubblicistico lo definiscono patto Molotov – Ribbentrop. Essi accusarono allora l’Unione Sovietica e bistrattano oggi la Russia, sostenendo che concludendo quell’accordo, il Cremlino si rese complice dei nazisti nello scoppio della guerra. È una menzogna sfacciata e cinica per scaricare su di noi le proprie responsabilità.

L’accordo (così come le precedenti trattative anglo-franco-sovietiche, fallite) mostra che è impossibile risolvere le questioni importanti in Europa orientale, senza la partecipazione dell’Urss. Una cosa è indubbia: 75 anni fa la dirigenza sovietica non fece nulla di cui dovremmo vergognarci e pentirci».

Lo stesso giorno, Dmitrij Medvedev in prima persona, intervenendo a Kursk alla cerimonia per il 71° della vittoria in quello che è considerato lo scontro decisivo tra Armata rossa e Wehrmacht (grosso modo, per numero di uomini e carri armati, 6-7 volte lo sbarco in Normandia) diceva: «la lotta per la verità sulla seconda guerra mondiale, per il ricordo delle gesta dei popoli dell’ex Urss, è una lotta non solo per il passato, ma anche per il presente e il futuro di pace. A cosa possa condurre una nuova redazione della storia, lo sappiamo tutti e, purtroppo, si vede da come stanno andando le cose con le persone a noi vicine. Ho fiducia che, come in quel tempo terribile, noi vinceremo».

Pochi giorni dopo, una nota ufficiale del Ministero degli esteri definiva «perfidamente sacrilega» la «dichiarazione irresponsabile» della rappresentante della Commissione europea Martha Rayherts, secondo cui la Russia avrebbe scatenato la seconda guerra mondiale: «Un insulto alla memoria dei 27 milioni di cittadini sovietici che hanno sacrificato la vita per liberare il mondo dalla peste bruna». Dato che «nessuno ha annullato le decisioni del tribunale di Norimberga» ci si chiede come mai la Ue tolleri «apertamente le manifestazioni dei neo-nazisti negli Stati baltici e della teppaglia fascista in Ucraina».

Ma se il serio pericolo di guerra sembra rientrare tra le ipotesi che si vogliono esorcizzare, quello che pare esser visto come già operante è il lavorio disgregatore, peculiare alla strategia «non bellica» americana, per un ribaltamento di potere a Mosca. Pavel Rodkin, esperto in marketing e comunicazione di Russia oggi, ha scritto senza mezzi termini che il nuovo ambasciatore americano in Russia John Tefft (considerato il tutore delle rivoluzioni colorate nello spazio postsovietico: è stato ambasciatore in Georgia, Ucraina e Lituania) preparerà «un colpo di stato all’insegna della protesta di piazza». Dunque: «Di quale colore sarà la rivoluzione che gli Usa hanno messo a punto per la Russia», dopo quella «delle rose» del 2003 in Georgia, «dei tulipani» e «dei meloni» nel 2005 e 2010 in Kirghisia e quella «arancione» in Ucraina? Al momento, sostiene Rodkin, siamo ancora allo stadio preparatorio: la guerra di informazione.

Se questo è ciò che si dichiara al vertice, a livello di opinione pubblica ancora pochi giorni fa (non ci sono rilevazioni dell’ultim’ora) il centro non governativo Levada poteva concludere che «ai russi sembra improbabile un aggravamento della tensione tra la Russia e l’Ucraina tale da condurre alla guerra aperta».
In ogni caso, negli ultimi 5 mesi, è però dimezzato il numero dei favorevoli a un intervento militare russo in Ucraina. Alla domanda «Sosterreste la leadership russa in un conflitto militare tra Russia e Ucraina?», il 13% degli intervistati ha risposto «sicuramente sì», contro il 36% del marzo scorso e «probabilmente sì» il 28% invece del 38% a marzo; decuplicato dal 2 al 20% il numero dei «categoricamente contrari» e raddoppiato dal 11 al 23% quello dei «piuttosto contrari».

Il 59% degli intervistati non crede che ci sia una guerra tra i due paesi. I russi che considerano possibile l’introduzione di truppe russe in Ucraina sono passati dal 28% di aprile al 16% in agosto. Ma il 32% ritiene che la Russia intervenga nel conflitto (di questi: il 15% approva l’intervento, il 17% no). Un russo su 4 è sicuro che la Russia «non interverrà, anche se dovrebbe»; secondo il 31% «Non interviene ed è giusto così».