È vero, l’abbiamo conosciuto tutti da piccoli, il papà di quel principino francese che ci ha insegnato a prenderci cura di una rosa e ci ha spiegato che addomesticare significa rispettare le promesse. Saint Exupery aveva scritto quel libricino, Il Piccolo Principe, durante la Seconda Guerra Mondiale, lo aveva pubblicato nell’aprile del 1943 negli Stati Uniti e, a guerra finita, nel novembre del 1945, in Francia per Gallimard.

Questa volta la voce di Saint-Exupéry ci racconta invece un’altra storia, non quella del ragazzino dai capelli d’oro che apprende e soprattutto insegna. Questa volta l’autore francese si presenta ai lettori come uomo, aviatore, uomo in guerra, e soprattutto come un cuore alla ricerca di un senso per l’uomo e per la vita, con domande sulle ragioni di tante crudeltà e follie della guerra.

Il libro “Lettera al Generale X e il senso della guerra”, appena uscito per Piano B Edizioni Elementi (€ 13,00), è una raccolta di lettere e brani (alcuni inediti in Italia) di Saint-Exupéry, in cui troviamo anche le sue ultime, commuoventi parole, quelle scritte all’amico Pierre Dalloz in una breve lettera – mai spedita – datata 30 luglio 1944, settant’ani fa. Il giorno dopo sarebbe stato abbattuto in volo sul mar Mediterraneo.

Già dal primo capitolo, intitolato “La pace o la guerra?”, ci troviamo di fronte a piccole, enormi domande e verità che ci lasciano senza argomentazioni per tentare una qualsiasi giustificazione di fronte allo scempio e alla crudeltà della guerra. Serve quindi solo raccontare piccoli esempi di vita e piccoli grandiosi gesti di umanità per capire. Già solo dal ricordo della sua prima notte passata a sorvolare l’Argentina, una “notte d’inchiostro”, la chiama lui, quel nulla conteneva tracce, forse a volte timide, di piccoli bagliori di stelle, stelle che erano “le luci degli uomini sulla pianura”. E questo, ci dice lui che stava volando, “indicava che nel cuore della notte si rifletteva, si leggeva, si scambiavano confidenze. Ogni stella, come un fanale, segnalava la presenza di una coscienza umana”. Ma sfortunatamente, ci dice poi, tra quelle stelle viventi, “quante finestre chiuse, quante stelle spente, quanti uomini addormentati, quanti fuochi che non davano più luce perché non erano stati alimentati”. Ed eccola qui, allora, la tragedia della guerra, e quella dell’uomo che si cerca e non si trova più, perché il cuore non è più emozionato da un senso per la propria vita. Del resto, niente forse può avere più un senso se il giardiniere, che era vissuto per una nuova rosa, accetta supinamente di non poter più abbellire la terra. Qui allora comincia quell’abbandono all’assurdo in cui l’uomo accetta passivamente il dramma sanguinoso che si stava formando. Saint-Exupéry combatte, con una lucidità quasi drammatica. Lo scrive, lo sa, che è come se ci scoprissimo in guerra con noi stessi, un corpo solo che lotta contro se stesso.

La vera risposta, in queste pagine accorate, è semplicemente dare un valore di senso più alto della vita stessa alle nostre scelte, per cui si è pronti anche a morire. “Non tentate di spiegare a un Mermoz (aviatore francese considerato un eroe sia in Argentina che in Francia), che sta viaggiando verso il versante cileno delle Ande con la vittoria nel cuore, che si è sbagliato, che per una lettera, forse la lettera di un bottegaio, non valeva la pena di rischiare la vita. Mermoz vi riderà in faccia, la verità era l’uomo che nasceva in lui quando valicava le Ande”. Queste sono le risposte della vita e dell’entusiasmo che trovano il loro valore nell’atto da dare, di donarsi. “Non capite che il dono di sé, il rischio, la fedeltà fino alla morte, sono quelle esperienze che hanno largamente contribuito a fondare la nobiltà dell’uomo?”. Ma il mondo, se ne rendeva conto Sanit-Exupéry, già aveva perso qualcosa. Forse, verrebbe da dire riferendosi a uno degli esempi che fa, il fatto è semplicemente che una gazzella deve essere una gazzella, e farà sempre di tutto, per vivere come deve per sua natura. L’uomo deve capire e trovare la natura a ciò che fa. “Chi dà un colpo di piccone, vuole trovare un senso al suo colpo di piccone”. In un mondo sempre più deserto, la semplice risposta e necessità è quindi quella di trovare compagni con cui saremo in grado di condividere e partecipare. È fondamentale capire che “non abbiamo bisogno della guerra per trovare il calore della spalla amica in una corsa verso la stessa meta. La guerra ci inganna. L’odio nulla aggiunge all’esaltazione della corsa”. È allora forse vero che ci siamo dimenticati dell’uomo. “C’è in lui, come in ogni Essere, qualcosa che non si può spiegare con i materiali che lo compongono. Una cattedrale è ben altro che una somma di pietre…. Non sono le pietre che la definiscono; è la cattedrale che arricchisce le pietre del suo significato…”. Troviamo in queste lettere valori cristiani, nel senso di comunità impegnata in uno scopo comune, di fratellanza, di carità. “La carità vera, essendo esercizio di un culto reso all’uomo, al di là dell’individuo, imponeva di combattere l’individuo per far crescere l’uomo…. E perdendo l’uomo abbiamo svuotato di calore quella fraternità stessa che la nostra civiltà ci predicava…. Abbiamo ridotto la nostra fraternità a nient’altro che una tolleranza reciproca”. L’uomo passa sempre più in secondo piano, e ci ricorda che i fedeli di questa nuova modernità si opporranno, se molti minatori perdessero la vita per salvare un solo minatore. “Poiché il mucchio di pietre, allora sarebbe danneggiato. Essi finiranno il ferito se rallenta l’avanzare delle truppe. Il bene della comunità lo studieranno nell’aritmetica e l’aritmetica li governerà”. Queste pagine, tanto semplici e dirette, ci rammentano che esiste chi non proverà mai a leggerle, anche se forse ne avrebbe davvero tanto bisogno. È proprio qui che Saint-Exupéry ci racconta, quasi con l’animo pulito del suo principino biondo, il mondo di certi signori, tronfi e arroganti. “Odieranno ciò che e diverso da loro, poiché non disporranno di nulla al di sopra di se stessi, in cui confondersi. Ogni costume, ogni razza, ogni pensiero straniero, diverranno per loro necessariamente un affronto. Non disporranno più del potere di assorbire, perché per convertire l’uomo in sé è necessario non amputarlo, ma esprimerlo a se stesso, offrire un fine alle sue aspirazioni e un terreno alle sue energie. Convertire è liberare, sempre. La cattedrale può assorbire le pietre che in essa trovano un senso. Ma il mucchio di pietre non assorbe nulla, e non essendone in grado, schiaccia”.

Non è semplice raccontare queste pagine, tanto ricche, tanto commuoventi, tanto dense di spiritualità e di una speranza che, comunque, sembra non riesca e non voglia arrendersi neanche nelle ore più buie. Capitolo dopo capitolo, sono parole che ci raccontano davvero la storia, quella di una Spagna nella sua guerra civile, quella di studenti americani volontari subito dopo l’attacco di Pearl Harbour e dell’entrata in guerra del loro paese (in “Messaggio ai giovani americani”). Sono lettere a generali, ad amici, sono parole sempre in cerca di una risposta o, semplicemente, di una condivisione di un grande disagio.

Chissà perché allora, anche nelle parole più sconsolate, la voce di Antoine de Saint-Exupéry riesce a dare, a chi legge, il regalo di credere che c’è stato qualcuno le cui parole possono comunque ancora dare conforto, per non sentirsi mai troppo soli.